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Maggio 1978: la tragedia di Aldo Moro

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Il 9 maggio 1978 il corpo esanime dell'onorevole Aldo Moro fu trovato, su segnalazione telefonica, nel bagagliaio di una vettura parcheggiata in via Caetani. Era stato rapito il 16 marzo in via Fani, con un agguato delle Brigate Rosse, che l'avevano prelevato dopo il simultaneo massacro dei cinque uomini della scorta.
Un'angoscia insopportabile
In quei due mesi il mondo politico e l'intero popolo italiano vissero giorni angosciosi. Le indagini frenetiche per individuare il luogo della prigionia avevano ripetutamente acceso speranze e ripetutamente deluso. I rapitori pretendevano, in cambio della restituzione dello statista, la scarcerazione dei più pericolosi brigatisti e persino di delinquenti comuni. Pre valse il partito della fermezza. C'erano, tra l'altro i cadaveri dei cinque già assassinati (e cinque famiglie in lutto) a
rendere difficile che si potesse decentemente addivenire a una trattativa.
Le lettere
Le lettere del prigioniero, che esigevano invece che si trattasse (e gli venisse data così una prospettiva di salvezza),accrescevano la costernazione e il tormento. Tutti comprendevamo lo stato di sconforto e il dramma dell'uomo che non voleva morire, quale che fosse il prezzo da pagare. Facevamo più fatica a capire il totale rinnegamento (che egli dichiarava) della sua appartenenza politica di sempre; soprattutto ci stupiva (e non riuscivamo a scusare) che in quelle lunghe pagine egli non fosse riuscito a inserire una piccola parola di rammarico e di rimpianto per quei poveretti che aveva visto cadere trucidati per lui. Tanto che un po' tutti noi si arrivava a ipotizzare che quelle missive fossero state in realtà dettate dai carcerieri; o piuttosto che fossero da attribuire a un'intelligenza plausibilmente sconvolta e alterata. Ma la moglie, Eleonora Moro, ci rese in seguito molto ardua questa esegesi cordiale e amichevole con un'assevera zione persino puntigliosa: «Tutto in quelle lettere – ha detto ai giudici che processavano gli assassini di Moro – apparteneva a mio marito. Il contenuto, il pen siero, il modo di parlare e di esprimersi, la sua logica. Una autenticità assoluta.
Quelle lettere erano scritte da lui, pensate da lui, esprimevano il suo modo di vedere le cose, di valutarle».
L'intervento di Paolo VI
Papa Montini, legato da una lunga e schietta amicizia fin dal tempo della giovanile militanza di Aldo Moro nella FUCI, il 21 aprile scrisse una "lettera agli uomini delle Brigate Rosse" che, per la sempli cità del l'approccio e degli accenti, il tono immediato, la scelta delle parole, è un testo davvero insolito nella serie delle dichiarazioni pontificie: «Io scrivo a voi, uomini delle Brigate Rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. Io non vi
conosco, e non ho modo di avere alcun contatto con voi. Per que sto vi scrivo pub bli camente, pro fit tando del mar gine di tempo che rimane alla scadenza della minaccia di morte, che voi avete annunciata contro di lui… Io non ho alcun
mandato nei suoi confronti, né sono legato da alcun interesse privato verso di lui. Ma lo amo come membro della famiglia umana, come amico di studi, e a titolo del tutto particolare, come fratello di fede e come figlio della Chiesa di Cristo… Vi prego in ginocchio, liberate l'onorevole Aldo Moro, sem pli ce mente, senza condizioni, non tanto per il motivo della mia umile e affettuosa intercessione, ma in virtù della sua dignità di comune fra tello in uma nità…». I funerali Le ono ranze fune bri per le sei vit time di quella insensata ideologia e di quella bestiale ferocia si svolsero il 13 maggio nella cattedrale di Roma, la basi lica di San Gio vanni in Laterano. Paolo VI, che era fisi ca mente spos sato e quasi alla fine dei suoi giorni (sarebbe morto neppure tre mesi dopo), volle presiedere personalmente la celebrazione funebre. I familiari di Aldo Moro, chiusi nel loro dolore e nel loro rancore (un ran core rivolto non a coloro che ave vano com piuto il misfatto, ma allo Stato italiano) non partecipa rono al rito. Il loro dolore meri tava ogni con si de ra zione e ogni rispetto, ma il loro ran core in quella cir costanza li ha mal consigliati. Li ha indotti a diser tare quel dove roso appun ta mento; e così non hanno avuto modo di dimostrare davanti a tutti la gra ti tu dine al Vicario di Cristo, che pure aveva usato verso il loro caro e verso di loro ogni affettuosa attenzione. In quei giorni ho avuto den tro di me, ine spresso, un altro pen siero: è stato ancora più grave, mi dicevo, che essi, con la loro assenza, non abbiano signi fi cato pub bli ca mente la loro attenzione e la loro gratitu dine nei con fronti dei cinque che si erano immolati per la difesa del grande uomo politico, né sono stati in grado di mani fe stare pubblicamente la loro condoglianza alle cinque famiglie che non soffrivano meno di loro e che come loro erano state colpite nei sentimenti più intimi, nella tranquilla esistenza, nel benessere. Certo quei caduti – riflettevo tra me – non erano personaggi universalmente noti, non erano illustri protagonisti della vita associata italiana, non erano deputati al parlamento, non erano docenti uni versitari, ma avevano lo stesso diritto di Aldo Moro a non essere strappati alle loro famiglie e a non essere così crudelmente derubati della loro esistenza; e meritavano un po' di commossa sollecitudine da parte di tutti.


(Tratto da Memorie e digressioni di un italiano cardinale di Giacomo Biffi)

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