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Maggio 1981: il referendum sull'aborto

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Il 17 maggio 1981 il popolo italiano è stato chiamato a pronunziarsi sulla richiesta di abrogazione di una legge (la 194, approvata il 22 maggio 1978), che consentiva l'aborto volontario entro i primi novanta giorni dal concepimento e
addirittura ne prevedeva il finanziamento statale. Ho sùbito ammirato la raffinata ipocrisia dell'intitolazione: «Norme sulla tutela della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza». Essa metteva in primo piano un valore
indiscusso e un programma da tutti condivisibile, quale la "tutela della maternità" (che però nell'attuazione sarebbe stata avvertita fatalmente come una preoccupazione secondaria), e per indicare un'azione da sempre percepita nella coscienza comune come abietta ed esecrabile usava una perifrasi costruita con parole in se stesse innocenti: gravidanza - volontà - interruzione. Una coraggiosa schiettezza, senza "laici" bigottismi, avrebbe dovuto preferire la denominazione più perspicua e più "onesta", che sarebbe stata: «Norme che regolano l'aborto volontario e il suo pubblico sovvenzionamento». Anche il diverso valore assegnato alla vita umana prima e dopo il concepimento trascura ogni conoscenza biologica e ogni dato speri mentale ed è innegabilmente con seguenza di un'ideologia, che nasce da un intelletto volontariamente accecato.
La franchezza cristiana
Il discorso ecclesiale su questa materia è invece senza infingimenti, oltre che perfettamente razionale, e si dimostra del tutto conforme ai risultati di ogni seria ricerca scientifica. La Costituzione conciliare Gaudium et spes così si esprime: «L'aborto come l'infanticidio sono abominevoli delitti». Tale franchezza di insegna mento e di linguaggio nella cristianità non è mai venuta meno. In uno dei primi scritti cristiani, la Didachè, che viene fatta risalire al primo secolo, e utilizza testi più anti - chi, anche giudaici, si legge: «Non ucciderai il bam bino con l'aborto e non lo sopprimerai dopo la sua nascita… Questa è la strada della morte» (2,2). Così si chiamano le cose col loro nome. In effetti, a una considerazione oggettiva e razionale, pur nella diversità dei contesti psicologici, è ben difficile sostenere che ci sia una diffe enza sostanziale tra i due "abominevoli delitti".
Il referendum
Il risultato del referendum è stato disastroso. Nessuno dei "profeti di sventura" tanto deprecati da Giovanni XXIII aveva mai osato prevedere nel suo pessimismo ciò che poi di fatto è accaduto: i paladini dell'aborto hanno avuto il 68% dei votanti; i difensori della vita, dell'uomo, della ragione si sono fermati al 32%. Abbiamo potuto tutti rilevare l'accelerazione di quello sfacelo morale del mondo cattolico con sapevole e militante, che aveva avuto la sua premessa nel referendum sul divorzio. Certo, questo secondo disastro è ben più grave del primo, anche per la natura del conten zioso Qui per dire "no" bisognava tradire l'autenticità della semplice intelligenza umana. In entrambi i casi poi si è trattato della stessa ignobile vittoria del - l'egoismo degli adulti che è stato legittimato a prevaricare sui più piccoli e più indifesi. Ma sotto il preciso profilo delle
conseguenze, ben più determinante si deve giudicare il comportamento di quelli che nel 1974 hanno contribuito a
deteriorare quella diga morale, eredità della tradizione cristiana, che da sempre aveva preservato la gente d'Italia dal totale deteriora mento etico. Adesso l'onda che ci sta alluvionando è ovvio che diventi sempre più limacciosa ed esiziale.
Un fardello pericoloso
Il fardello opprimente creato dal l'egoismo umano, che spesso è più che altro egoismo maschile, ancora una volta viene
caricato soprattutto sulle figlie di Eva. Quelle tra loro che istigate e persuase da una legge "galeotta" – si sono lasciate indurre ad abortire, in seguito non lo dimenticano più. La loro indole di donna e di madre, che è stata pensata e
vagheggiata dal Creatore in funzione della trasmissione e della salvaguardia della vita, qui è stata violata; e tale violazione
resta come una ferita spirituale che non si rimargina. Si istituisce in loro come uno stridore psicologico ed etico permanente una specie di rimorso non accettato – che si tramuta facilmente in un'avversione incontrollata e in un sordo rancore verso la verità e la giustizia. E poiché dal l'insegnamento indeformabile della Chiesa si sentono poste continuamente sotto accusa, nasce in loro un distacco amaro dalla Sposa di Cristo, che pur resta la loro Madre e potrebbe riportarle alla pace dell'anima. E invece talvolta, in uno strano ma reale groviglio di senti menti, finiscono col percepirla come nemica e per sino
colpevole: colpevole della loro colpevolezza. E così le donne, che per naturale voca zione sono sempre state le più fedeli e assidue alla vita ecclesiale, diventano in questi casi le più estranee e le più ostili all'evento cristiano. Compito di ogni fra tello di fede è di adoperarsi a fare arrivare a tutte la noti zia e a far maturare il convincimento che la misericordia di Dio non si arrende mai; la notizia e il convinci mento che, da quando il Signore ci ha redenti con il suo sangue, quali che siano i nostri errori tutti possiamo sempre cominciare da capo.


(Tratto da Memorie e digressioni di un italiano cardinale di Giacomo Biffi)

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