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Il mito politico del comunismo e le stragi rosse in Emilia

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Non posso inoltre nascondere un motivo di meraviglia, né differire più oltre un interrogativo che mi sembra inevitabile.
Col 1944 (e nemmeno col 25 aprile 1945) non si è finito di uccidere nella nostra terra. Particolarmente nelle province di Bologna, Modena e Reggio le stragi sono continuate, ad opera solitamente di uomini che si ispiravano al mito politico del comunismo e vagheggiavano l'instaurazione, anche in Italia, di una società conforme al modello sovietico. Come mai non se ne fa parola in questa accurata rassegna delle violenze e degli eccidi?
Ho ben vivo nella memoria che a noi del Nord le notizie delle due ondate di criminalità – quella riferibile alle milizie tedesche e quella inequivocabilmente "rossa" sono arrivate in contemporanea, quasi due simmetriche sciagure della medesima epoca sciagurata; due sciagure che in Lombardia, almeno con queste proporzioni, ci erano state risparmiate. E, forse per difetto di informazioni precise su quello che era avvenuto a Monte Sole, la seconda ci impressionava di più per varie ragioni: perché ormai la guerra era finita, e si poteva sperare che fosse finito anche il tempo delle uccisioni; perché si trattava di italiani che uccidevano italiani; perché venivamo a sapere che tal volta erano accompagnate da incredibili sevizie personali. Nel territorio emiliano tali vittime si contano a migliaia. Ed è significativo l'accanimento che si dimostrò nei con fronti dei parroci, specialmente dei più autorevoli, con il chiaro intento di intimi dire le popolazioni e di scoraggiare ogni resistenza al disegno di conquista del potere da parte dei "rossi". Mi pare giusto che in queste mie Memorie si iscrivano i nomi dei sacerdoti della Chiesa bolognese, che hanno versato il loro sangue in un tempo che ormai doveva essere di pace: don Domenico Gianni, parroco di San Vitale di Reno (Bologna); don Enrico Donati, di Lorenzatico (San Giovanni in Per siceto); don Raffaele Bortolini, di Dosso (Sant'Agostino Ferrarese); don Giuseppe Rasori, di San Martino in Casola (Monte San Pietro); don Achille Filippi, di Maiola (Castello di Ser ravalle); don Alfonso Reggiani, di Amola (San Giovanni in Persiceto); don Corrado Bortolini, di Santa Maria in Duno (Bentivoglio); don Giuseppe Tarozzi, di Riolo (Castelfranco Emi lia). Dei cristiani laici, seriamente impegnati nella vita ecclesiale, voglio riportare solo due nomi: Rosina Atti di
Maccaretolo. Attiva ed esemplare presidente della Gioventù Femminile di Azione Cattolica, fu prelevata e trucidata non ancora trentenne il 6 maggio 1945. Il suo corpo non fu mai ritrovato; uno degli assassini però raccontò poi che a coloro che la sta vano uccicendo ebbela forza di dire: «Fate quello che volete: io so dove vado». Giuseppe Fanin, sindacalista cattolico, impegnato nella promozione sociale dei lavoratori dei campi, fu finito a sprangate la sera del 4 novembre 1948, mentre rincasava recitando il rosario, dopo aver portato dei fiori alla fidanzata. Di lui il 4 novembre 2003 ho concluso il Processo diocesano ordinario per la causa di beatificazione, con l'invio degli atti alla Santa Sede.


(Tratto da Memorie e digressioni di un italiano cardinale di Giacomo Biffi)

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