Il "caso Laika" non rappresentò una svolta solo per le scienze spaziali, ma anche per quella che oggi chiameremmo cultura animalista. Per la prima volta, infatti, ampi settori dell'opinione pubblica mondiale si chiesero se è giusto infliggere a un animale sofferenze o morte certa senza una reale e urgente necessità, solo per raggiungere obiettivi scientifici, spesso più presunti che reali. Nel 1957 varie manifestazioni di protesta per la morte della cagnetta-cosmonauta furono organizzate davanti alle ambasciate sovietiche.
La "bestia nera" degli animalisti era soprattutto Oleg Gazenko, lo scienziato che coordinava l'addestramento dei cani destinati agli Sputnik. Il "metodo Gazenko", che precedeva la partenza, era un'autentica tortura: per abituare gli animali agli angusti abitacoli dei satelliti, un mese prima del lancio li si chiudeva in gabbie strettissime, imbottite alla meno peggio, che di fatto impedivano ogni movimento; e per allenarli al rumore e all'accelerazione dei razzi vettori li si sottoponeva a trattamenti in centrifughe simili a quelle di una lavatrice.
Gazenko vive ancora: oggi ha 90 anni. Nel 1998, dopo il crollo dell'Urss, fu insignito del Premio Demidov, un riconoscimento che fin dall'epoca zarista decora i più importanti scienziati russi. Ma nel frattempo ha fatto autocritica: "Gli esperimenti su animali – ha dichiarato recentemente – è fonte di dolore per tutti noi. Noi trattiamo loro come bambini che non possono parlare. Più passa il tempo e più questo mi dispiace: non lo farei più". E su Laika: "Dalla missione non ricavammo abbastanza per giustificare la morte di quel cane".