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Legal Thriller: un successo sotto accusa |
di Stefano Biolchini |
L'accusa per un genere avvezzo alle aule di tribunale è di quelle brucianti: i legal thriller italiani si rifanno in maniera artificiosa ai grandi modelli americani. Gli avvocati John Grisham e Scott Turow, tanto per citare i modelli più ambiti. Convenzioni di genere e codici d'oltreatlantico che talvolta imprigionano i nostri autori, fra i più celebrati dal mercato attuale. Certo, come spiega Carlo Lucarelli, Grisham non si sognerebbe neppure di avere a che fare con le lentezze del sistema giudiziario italiano e da noi la figura del serial killer forse non basterebbe, non dico a capacitare, ma neppure a sopire la nostra naturale inclinazione per il clima di sospetto- che tutto avvolge - pur di non farci arrivare se non alla "verità", almeno ad una fine credibile. Anche la mano di uno psicopatico qui da noi qualcuno l'avrà pur guidata, o no?
Dopo Cogne poi scrivere gialli in Italia è più difficile, visto il mix di sospetti, inquinamenti e colpi di scena in salsa mediatica- degni del plot più avvincente- che il caso ha sdoganato in prima serata. Se a tutto ciò si aggiunge l'innesto nella nostra procedura del nuovo processo, con avvocati e giudici necessariamente più protagonisti, non c'è di che essere allegri: cronaca e televisione da noi avranno la meglio. Aggiungasi che proprio alla peggior fiction nostrana alcuni autori sembrano troppo concedere, semplificando ad uso nazional-popolare, con il rischio di esserne travolti. Così però non abbiamo ancora spiegato il successo dei più celebrati Carofiglio, De Cataldo, Lucarelli, Carlotto, Fois e Camilleri e tanti altri. Ne abbiamo chiesto conto ai primi tre (le interviste sono nello speciale) ma un'idea ce la siamo fatta anche in proprio. E parte da quell'incertezza che il nostro diritto genera nella società, con le sue lungaggini e certi bizantinismi che tutto pervadono, dalla politica alle aule di giustizia. Incertezze che la nostra narrativa sa compensare in qualche modo, ammaliandoci e convincendoci che la verità la si raggiunge solo passando per l'inevitabilità del male, ("paura eh", direbbe ancora il miglior Lucarelli televisivo). Semplificando si forniscono riposte, anche se all'insegna del mistero che nulla spiega. Sono dunque inutili i complessi di inferiorità di quegli autori che proprio perciò allargano il loro orizzonte, in cerca di una nobiltà sorpassata, fino a Il Processo di Kafka e al grandissimo Gadda, passando per la citazione ravvicinata di Scerbanenco. Ai nostri lettori il genere piace così, anche artificioso e semplificato, da italiano medio che ai processi si appassiona guardandoli in tv. stefano.biolchini@ilsole24ore.com