Seguitemi sulle strade d'America e d'Australia in compagnia di una ragazza irlandese, una bambina di undici anni, un siciliano spaccone e indomabile. Migranti accomunati dalla stessa voglia imperiosa di strappare al mondo un futuro degno dei propri sogni e soprattutto dalla necessità, non meno pressante, di raccontarsi, e raccontandosi esistere. Perché la vita diventi memoria, testimonianza, romanzo. E per me non c'è nulla di più interessante della vita.
May Duignan s'imbarcò per l'America nel 1890, a diciannove anni, ma non era rassegnata a un destino di operaia in qualche fabbrica, contadina o domestica. Voleva diventare qualcuno, e in fretta. Così, disposta a tutto, spudorata, bugiarda, ingenua, diventa prostituta, ballerina, stella del palcoscenico, ladra, criminale. In pochi anni brucia tutte le sue vite. Ha ricostruito la sua rocambolesca vicenda nel docu-romanzo La storia di Chicago May (Guanda, pagg. 318, € 16,50) Nuala O'Faolain, scrittrice irlandese che con questo libro ha vinto il Prix Femina.
La bambina invece nacque in America. Figlia di immigrati tedeschi, si chiamava Sophina Werner ma divenne famosa col nome banale di Betty Smith. Nel 1943 pubblicò Un albero cresce a Brooklyn (Neri Pozza, pagg. 528, € 14,00), romanzo autobiografico divertente, triste e molto vero, che rievocava la sua infanzia a Williamsburg. Anche il film che nel 1945 ne trasse Elia Kazan ebbe successo. Ciò che lo rende interessante ancora oggi non è tanto la descrizione del quartiere di New York in cui si incrociano e si scontrano tante comunità, né le storie dei vari personaggi. La letteratura americana – da Henry Roth a Di Donato, da Fante a Mc Court – ci ha regalato magnifici racconti di americani "nuovi", cresciuti in scalcinati sobborghi popolari, fra razzismo, alcolismo e altre miserie. È proprio la prospettiva di Sophina – la bambina che tutto guarda. In letteratura, le bambine ancora si contano sulle dita di una mano.
E un bambino è anche al centro di Un giorno è bello e il prossimo migliore. Un siciliano in Australia (Terre di Mezzo, pagg. 310, € 14,50), lo struggente racconto di Antonio Sbirziola, siciliano di Butera emigrato in Australia, vincitore nel 2006 del Premio Pieve Santo Stefano. Anche qui, la prospettiva è nuova. Non si tratta della "solita" storia di emigrazione. Operaio alle ferrovie, Sbirziola ce l'ha fatta: ha una bella famiglia, un mestiere sicuro, un avvenire solido. Però ha anche un sogno, e questo sogno lo perde. Il sogno è possedere una casa spettacolare. La costruzione della casa del sogno coincide con la nascita del figlio minore, malato di cuore. La lotta di questo padre per coronare il suo sogno e salvare il bambino è la storia più epica che vi possa capitare di leggere in questi giorni. Sbirziola – autodidatta sradicato in un altro continente – scrive una lingua inventata, una sintassi scombicchierata e avventurosa: combatte con l'italiano come con gli operai, le banche e i dottori. Ma, come Vincenzo Rabito, che con Terra matta (Einaudi, pagg. 412, € 18,50) ci ha regalato un'avvincente epopea della nazione italiana, alla fine riesce a domare le parole per raccontarci molto più della propria vita, una storia universale di amore paterno e riscatto, di utopia e dolore, di fiducia nel potere della scrittura di redenzione dalla morte che la letteratura dei professionisti sembra avere perduto.