Marco Innocenti, inviato del «Sole 24 Ore»
e autore di numerosi libri sugli eventi mondiali
sul costume del nostro Paese, racconta
i grandi fatti del passato e come l'Italia li visse
Mentre la seconda guerra mondiale sta per sparare gli ultimi colpi, a Yalta, il 4 febbraio 1945, si incontrano i tre grandi, Roosevelt, Churchill e Stalin, per decidere l'assetto del dopoguerra.
L'idillio Roosevelt-Stalin
La conferenza si apre in una domenica calda e soleggiata, nel salone da ballo del palazzo che era stato dello zar. In Crimea crescono gli ulivi e Stalin li mostra orgogliosamente, ma Churchill chiama Yalta "il paradiso dei pidocchi". Stalin ha voluto tutti nella sua terra per celebrare i trionfi dell'Armata rossa. Roosevelt, evanescente e tragicamente stanco sotto un mantello nero, i lineamenti devastati e le mani tremanti, porta in faccia i segni della malattia. Stalin, nel pieno del suo vigore, ha il viso impenetrabile e un sorriso beffardo. Churchill, terzo incomodo, Cassandra indocile ma flebile, tenta invano di contenere l'aggressività del dittatore di Mosca. Fra lui e Stalin l'unico punto di incontro è la ben fornita cantina del palazzo. Fra l'americano e il sovietico, invece, è un idillio. L'uomo della Casa Bianca ha alle spalle l'esercito e l'industria più forti del mondo, ma il vincitore di Yalta è l'uomo del Cremlino.
Mosca mette le mani sull'Est
Il risultato più vistoso del vertice (che il diplomatico americano George Kennan definirà «una disperazione») è la drammatica ipoteca posta da Mosca sull'Est. Roosevelt professa una concezione universalistica e contesta la logica della sfere di influenza, ma di fatto regala alle baionette sovietiche un rispettabile fodero di pergamena. Al resto pensano i carri armati con la stella rossa che stanno già dilagando in Europa. Tragico paradosso della Storia: la guerra che era scoppiata nel 1939 per difendere l'indipendenza della Polonia si conclude con la consegna dello sfortunato Paese a Mosca. E Varsavia, con un'ampia fetta d'Europa, viene affidata alle "premurose" cure dell'impero sovietico.
Tutto finisce a Berlino
Il "dopo Yalta" alzerà molte forche, ammainerà molte bandiere e spegnerà molti sogni. Finché in una notte del 1989, magica e libertaria, cadrà un Muro, mozzando il fiato al mondo. Le tavole di Yalta saranno fatte a pezzi. Anche il suo ricordo sarà ridotto in macerie, che i ragazzi di Berlino spazzeranno via. Il comunismo sarà espugnato come una patetica Bastiglia e la Storia confermerà che gli imperi sono mortali. A Yalta una mano ignota dedicherà un epitaffio: «La libertà ha bruciato i fantasmi del passato».