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27 febbraio 1933: brucia il Reichstag

di Marco Innocenti

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22 febbraio 2008
Enzo Ferrari fotografato davanti alla sua fabbrica nel 1958 (Alinari)

Marco Innocenti, inviato del «Sole 24 Ore»
e autore di numerosi libri sugli eventi mondiali
sul costume del nostro Paese, racconta
i grandi fatti del passato e come l'Italia li visse

«Il 1933 sarà il nostro anno», aveva detto Adolf Hitler a un amico nella notte di Capodanno. E le sua previsione sarà ampiamente confermata dai fatti.

Fiamme in Parl
amento
Alle 21 e 14 del 27 febbraio 1933 una stazione dei pompieri di Berlino riceve l'allarme: il palazzo del Reichstag, sede del Parlamento tedesco, sta bruciando. Grosse fiamme avvolgono la cupola del simbolo della democrazia, quello che Hitler aveva più volte definito «un covo di vipere». La polizia, piombata sul posto, trova un giovane mezzo nudo, Marinus van der Lubbe, che si nasconde dietro l'edificio. Poco dopo arriva lo stato maggiore nazista (Hitler è cancelliere dal 30 gennaio) e, quando gli viene mostrato van der Lubbe, un militante comunista olandese considerato poco sano di mente, Hermann Goering urla: «È un delitto dei comunisti». In due giorni vengono arrestati migliaia di militanti di sinistra. Il 28 è proclamato lo stato di emergenza, che dà inizio di fatto alla dittatura nazista. Il 23 marzo Hitler ottiene pieni poteri, incatenando alla svastica il destino della Germania.

La mossa nazista
Gli storici non hanno mai chiarito con certezza quali siano state le responsabilità di van der Lubbe e quali quelle dei nazisti, ma la versione prevalente (dato anche il tipo di incendio, appiccato in più punti) è che sia stata una spregiudicata e strumentale mossa nazista per abolire i diritti civili e imporre la dittatura. Al processo il giovane olandese è riconosciuto colpevole, condannato a morte e decapitato il 10 gennaio 1934. Dovranno passare più di 70 anni perché la Procura generale tedesca annulli la sentenza di condanna a morte, considerandola illegittima.

La parabola di Hitler

A 75 anni dall'ascesa al potere e a 63 dal crollo del Terzo Reich, l'ombra cupa di Hitler incombe ancora oggi sulla memoria collettiva. La sua vita fu una delle più sconcertanti storie della Storia, da disadattato sociale, artista da marciapiede, disegnatore di cartoline invendute a mattatore dell'Europa. Romantico ma scientifico, affascinato dall'esoterismo ma avvenirista, demagogo irresistibile, oratore splendido, dominatore delle piazze convertite in immense cattedrali del nazismo, ayatollah pagano che non beve, non fuma, ama i cani e disprezza gli uomini, Hitler si proiettò dal limbo di una vita da sradicato al dominio dell'Europa grazie al grezzo semplicismo di pochi aforismi: la vita è lotta, il forte abbatte il debole, la morale è stupidità e decadenza.

Spiritualmente vuoto, fu un mostro freddo ma con il gusto dell'azzardo, con un tocco magico, una sua malvagia grandezza. Il delitto fatto politica. Di sé stesso disse: «Sono un barbaro». E le luci dell'Europa si spensero di colpo.

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