Marco Innocenti, inviato del «Sole 24 Ore»
e autore di numerosi libri sugli eventi mondiali
sul costume del nostro Paese, racconta
i grandi fatti del passato e come l'Italia li visse
«Spesso mi chiedono quale sia stata la vittoria più importante di una Ferrari e io rispondo sempre così: la vittoria più importante sarà la prossima».
Corridore, direttore di scuderia sportiva, industriale dell'auto, Enzo Ferrari nasce a Modena il 18 febbraio 1898. Assiste da ragazzo ad alcune gare di auto e non ha dubbi: «Diventerò pilota da corsa». Nel 1919 cerca vanamente lavoro alla Fiat. Trova un posto alla Cmn e comincia a correre con l'Alfa Romeo.
Il cavallino rampante
Nel '23 la madre di Francesco Baracca, la contessa Biancoli, gli consegna come portafortuna il simbolo che il leggendario aviatore portava sulla sua carlinga: un cavallino rampante, che diventerà il simbolo della sue macchine. Nel '29 Enzo fonda la Scuderia Ferrari, come squadra corse dell'Alfa: la sua fortuna inizia qui.
Le «rosse» di Maranello
Dopo la guerra Ferrari costruisce la propria prima vettura e debutta al Gran Premio di Monaco del '47. La prima vittoria in Formula 1 è del '51, il primo titolo mondiale l'anno successivo, con Alberto Ascari. Nella stagione di Enzo (1947-1988) la Ferrari riporta in tutto il mondo oltre 5mila vittorie. Tra i suoi piloti più famosi: Nuvolari, Fangio, Ascari, Surtees, Lauda e Villeneuve.
Nel '75 entra nella Ferrari la Fiat. Le nuove vittorie portano il nome di Lauda e di Villeneuve. Sono gli ultimi due piloti a dare grandi soddisfazioni al "Drake", che muore il 14 agosto 1988, a 90 anni. Ma il suo nome e le sue macchine uscite da Maranello continueranno a far sognare. Poco meno di un mese dopo la sua morte, al Gran Premio d'Italia a Monza, Berger e Alboreto, con le due Ferrari, si piazzano al primo e secondo posto, dedicando la vittoria alla memoria del "Drake".
Il ricordo
Uomo duro, burbero, diretto, coriaceo, di carisma, amato dai suoi operai ma non sempre dai suoi piloti, Enzo Ferrari (di cui è famosa la battuta: «Il pilota è un accessorio») ha lasciato il ricordo di un grande uomo d'auto, padre-padrone di un mito. L'epica della meccanica e della velocità si intreccia alla vita privata di un uomo controverso, che ha vissuto un'avventura esaltante, ma a tratti segnata dal dolore (la morte del figlio Dino nel '56, quella dell'amato Gilles Villeneuve nell''82). Le lenti scure degli occhiali, le sfuriate in dialetto modenese che fanno tremare muri, tecnici e piloti, le lunghe attese inferte alle personalità più importanti prima di essere ricevute sono peculiari di un uomo che ama definirsi "un artigiano" e che riassume la sua vita in una sola frase: «Il secondo è il primo degli ultimi». Poco prima di morire, in un raro momento di abbandono, dice: «Non mi piace più questo mondo dove la violenza ha preso il posto della ragione».