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5 marzo 1953: la morte di Stalin

di Marco Innocenti

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29 febbraio 2008


Alle 21,50 del 5 marzo 1953 Radio Mosca trasmette una notizia che è uno shock per il mondo: è morto Stalin, presidente del Consiglio dei ministri dell'Urss e segretario del Comitato centrale del Pcus.

Il rimpianto e la lotta di potere
Il funerale è imponente, un centinaio di persone cade ed è travolto nella calca. La morte di Stalin, nel Paese, è accolta dalla gente comune con sincero rimpianto, quasi si trattasse di un lutto familiare. Diverso l'atteggiamento dei leader politici: la sua scomparsa è una liberazione perché li mette al riparo da un'eventuale, improvvisa, epurazione.

Si racconta che Nikita Kruscev abbia ballato attorno al cadavere ancora caldo. Nessuno, tuttavia, è in grado di ricevere la pesante eredità, per cui si apre al Cremlino un'aspra lotta di potere. Il trauma provocato dalla morte del "Capo" si ripete tre anni dopo con la condanna del "culto della personalità" pronunciata da Kruscev al Ventesimo congresso. La demolizione del mito di Stalin produce nel popolo sovietico e nel movimento comunista internazionale una crisi di coscienza che richiederà molto tempo per esaurirsi.

Il georgiano
Stalin (che significa "uomo di acciaio") è il nome di battaglia di Iosif Vissarionovic Giugashvili, un georgiano che nasce a Gori il 21 dicembre 1879, figlio di un calzolaio e di una lavandaia, studia in seminario per poi aderire alla rivoluzione di Lenin e assumere un ruolo importante nel Partito comunista sovietico. Lenin, che muore nel 1924, lo definisce nel testamente "rozzo, violento e incline all'abuso del potere". Come da copione, Stalin s'impone come capo del partito con poteri assoluti e dal '28 avvia la sua era: industrializzazione forzata, collettivizzazione dell'agricoltura con mezzi spietati e "purghe" degli (spesso presunti) nemici. Morte nei gulag, morte per fame, per deportazione, per fucilazione. Negli anni Trenta e Quaranta (compresa la vittoriosa guerra contro il nazismo e l'occupazione dell'Europa dell'Est), la vicenda della sua persona s'identifica con la storia dell'Urss, di cui è l'onnipotente artefice fino alla morte.

Il giudizio
Dietro la maschera di bonarietà, Stalin è un uomo dal carattere aspro, aggressivo e vendicativo, che crede fermamente nella violenza e se ne serve nel suo meccanismo criminale. Come statista è un leader che appartiene fermamente alla realtà sovietica e universale, entrando di diritto nella galleria dei violenti promotori di Storia, come Cromwell, Hitler e (a un altro livello) Napoleone. Provoca effetti devastanti e di lunga durata. Ha una forza di volontà sovrumana, é idolatrato e odiato, è un conquistatore e quindi anche un distruttore. Crea un grande impero, stermina milioni di uomini ma milioni muoiono col suo nome sulle labbra. L'una cosa e l'altra accetta come una necessità, perché identifica sé stesso con la propria idea di mondo.

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