11 aprile 2008
Libri / L'inarrestabile marea di rumori che rischia di travolgere l'homo novus
di Giuseppe Ceretti
E' assai poco ortodosso e irriverente pescare in un libro che riflette sulle immense praterie della comunicazione digitale e sulle insidie che si celano in eventi e oggetti del nostro nuovo vivere quotidiano, una frase che conclude un capitolo. Una manipolazione che Gillo Dorfles, l'autore di "Horror pleni, la (in)civilità del rumore", potrebbe a giusta ragione rimproverare. Tanto più che al filosofo, un signore quasi centenario che è un inno alla giovinezza, vanno poco a genio i gazzettieri, troppo impegnati a cercare l'abbagliante presente per aiutare a comprendere la ragione all'origine di fatti e manufatti dell'età nostra.
Eppure la tentazione è irresistibile. Laddove scrive dell'uomo sempre più tentato dall'esporre se stesso alla pubblica idolatrìa, spinto dai massa media e dalla pubblicità, ricorda l'effetto pernicioso dei "grandi fratelli" e si sofferma in particolare sui funeral show dei vip affermando "… il mio disgusto per l'inammissibile irriverenza degli applausi che- negli ultimi tempi-spesso accompagnano il feretro verso la sepoltura. Sia pur concessa la vetrinizzazione del corteo funebre e di tutti i cerimoniali mistici (sinceri o meno) che accompagnano la tumulazione del defunto, ma almeno venga rispettato il silenzio al passaggio della salma".
Il gazzettiere trae conforto dall'anatema e si compiace con assai poco civile smodatezza: l'ha detto lui e noi non potevamo scrivere meglio, in totale sintonia.
Il pretesto, tuttavia, non è solo una parentesi per compiacersi di una identità d'opinioni che a nessuno importa, quanto per dar conto di un espediente narrativo che Dorfles mai dimentica in ogni passo di un saggio pur così denso di analisi e riferimenti bibliografici. L'autore ha sempre presente l'eterogeneità del suo auditorio e si premura, passo dopo passo, di arricchire la narrazione con la lucida chiarezza dell'esempio tratto dal nostro agire di ogni giorno, di spiegare il senso della sua tesi, la ragione di affermazioni che pure nascono da un mondo di studi, quelli filosofici, di complessa visitazione e assai poco praticato dal grande pubblico. Dorfles ha una modalità di scrittura che non cela dietro ipocriti veli la sua erudizione e sembra dirci: la filosofia non è affare semplice, ma l'uomo non può farne a meno , senza la speculazione che essa è in grado di offrire l'individuo cammina come un cieco senza riferimenti.
Il libro di Dorfles è una rielaborazione di articoli pubblicati sul Corriere della Sera, di relazioni seminariali, atti di convegno, contributi apparsi su riviste scientifiche. Ma ha un pregio: pare scritto d'un fiato, ha un corpus che lega la prima all'ultima pagina. Dorfles ci accompagna in un itinerario attraverso la miriade di segnali comunicativi del nostro tempo che coinvolgono e condizionano ciascuno dei nostri sensi come mai era accaduto nelle precedenti fasi della nostra civiltà o inciviltà.
La tesi è esplicita, sin dal titolo: come un tempo i primitivi della terra, in un mondo vuoto di senso e di segni, soffrivano dell'horror vacui, oggi patiamo il rischio opposto, la violenza di un mondo carico, anzi saturo di segnali e di comunicazioni, che induce a formulare il concetto di horror pleni.
Che possiamo fare, quali gli antidoti per combattere la civiltà del rumore, del bombardamento di dati che rotea senza pausa di fronte ai nostri occhi, penetra nel nostro cervello, nei nostri cuori, condiziona le nostre esistenze? Dorfles non ha ricette miracolose, ma ci rivolge un monito a mantenere la mente vigile, a chiedersi il perché di ogni fenomeno nuovo, cercando di non farsi travolgere. Non ha un atteggiamento luddista, non è colui che di fronte alla macchina del tempo, alza la clava per rompere. A testimoniare la sua piena adesione all'evoluzione, alla modernità, alla ricerca di sempre nuove modalità espressive, c'è un'intera vita dedicata guardando con inesausta curiosità a ogni forma di sperimentazione, ai linguaggi nuovi in ogni espressione dell'arte. Questo mondo ha in Dorfles una delle personalità più eminenti del Novecento. Egli è stato sperimentatore in prima persona e non solo il filosofo, critico e ordinario d'estetica che ha dato il suo contributo di pensiero alle più grandi università del mondo. Nel 1948 e bene lo ricorda il risvolto di copertina, è stato tra i fondatori del Mac, il Movimento per l'Arte Concreta, con Monnet, Soldati e Munari.
Dorfles ha dunque la testa sempre attenta al presente e rivolta al futuro. Come altrimenti interpretare quell'elogio alla disamonia che si ritrova in queste pagine? "Io non auspico un abbandono dell'armonia perché ritengo chiusa la grande avventura del pensiero artistico rinascimentale, ma postulo una miglior comprensione da parte dell'Umanità occidentale di molte forme d'arte odierna che sono accettabili a chi le osservi con un'ottica diversa". Allo stesso modo ci ricorda che l'arte di Raffaello e Mozart, di Cimabue e Bach era la grande seduttrice dei contemporanei, ma oggi quella carica seduttiva si annida in altri settori, dalle opere figurative si è riversata "sulla debordante marea di pubblicità e in generale della grafica, lasciando all'arte pura un compito non più di seduzione, ma nel migliore dei casi di meditazione e contemplazione".
Il filosofo tuttavia ricorda gli ostacoli, invita a non farci travolgere dall'inarrestabile marea di suoni, di rumori, che sono l'opposto di informazione, ma solo confusione. E sollecita a recuperare la pausa, il tempo perduto. Non è facile, perché oggi il nostro non ha più nulla in comune col tempo proustiano, non dura perché tutto concorre ad abbreviarlo, spezzettarlo.
E così ci aiuta a scoprire i limiti dell'homo novus, decritta i suoi gesti, i suoi linguaggi, i riti, i processi conoscitivi, i suoi gusti, fino ad approdare alle ultime conquiste, ai confini del post-umano come li definisce per delimitare un'estetica del virtuale.
Lo scopo è chiaro: mai consegnare la ragione all'ammasso, mai arrendersi alla prepotente forza dei nuovi flussi informatici, tentare di dominarli chiedendosi sempre il perché ciò accade: "Solo un uso sapiente e controllato dei nuovi media permette di conservare quella privatezza del pensiero che altrimenti andrebbe smarrita.. perché l'elemento comunicativo, giustamente idolatrato ancora pochi decenni or sono, può trasformarsi in un fattore di disinformazione di negazione della vera conoscenza".
Dorfles è affascinato, come ogni uomo sensibile, dal dibattito tra i custodi dell'umanismo e coloro che giungono a considerare necessario varcare attraverso nuove modalità biologiche la soglia del post umano. E' preoccupato dal superamento del limite "non in un'accezione moralistica, ma davvero esistentiva". Perché oltrepassarlo significa scatenare forze di cui non abbiamo più nessun controllo.
E rammenta come la parola sia ancora il fatto primigenio, da cui prende vita l'opera creativa: "Quando assisto alla facilità vertiginosa con cui degli adolescenti, anzi dei bambini, si impadroniscono di nuovi gadget, della maestrìa con cui manovrano i tasti, i pulsanti, deputati alle più complesse operazioni… mi chiedo fino a che punto questa immane espansione delle conoscenze segnaletiche e informative vada a scapito dei faticosi sentieri della memoria e di quelli-un tempo beati-della fantasia creatrice"
Horror Pleni
La (in)civiltà del rumore
di Gillo Dorfles
Ed. Castelvecchi
pagg. 325, euro 22
11 aprile 2008