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7 aprile 1939: attacco all'Albania

di Marco Innocenti

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4 aprile 2008
Truppe italiane in Albania (Foto Alinari)


Albania 1939, un coriandolo triste dei Balcani, il Paese più arcaico d'Europa, un concentrato di miseria, un povero territorio già protettorato virtuale dell'Italia fascista. Un misto di pastori, contadini e pescatori su cui regna Zog I, un ex bandito astuto e diffidente.

La concorrenza Mussolini-Hitler
Il duce punta sui Balcani e la concorrenza con Hitler è feroce. «L'Albania è la Boemia dei Balcani - tuona - e sono deciso ad andare a Tirana a tutti i costi». Di più: «A ogni botta tedesca - dicono a Roma - ci sarà una risposta nostra, faremo vedere ai tedeschi che ci siamo anche noi».

Come se Hitler si ponesse dei problemi... E così, cavalcando una politica estera fatta di umori, un'infantile politica della concorrenza con l'alleato nazista dettata dal complesso di inferiorità di Mussolini, scatta l'operazione Albania. Una passeggiata, una pratica da sbrigare in un fine settimana. E soprattutto un calcio negli stinchi al «caporale austriaco».

Uno sbarco da dimenticare
Alle 16 del 6 aprile, Venerdì Santo, la flotta italiana salpa. Alle 4,30 del 7 inizia lo sbarco a Durazzo e a Valona. La spedizione è improvvisata, le disposizioni confuse, i comandi svogliati, i soldati poco motivati. Il comandante è il generale Guzzoni, ma il grande regista è Ciano, il delfino del duce. Lo sbarco, una classica operazione all'italiana, batte ogni record di disordine. Grazie a Dio, la resistenza è scarsa, gli albanesi si sbandano, i nostri avanzano e re Zog fugge in Grecia: è come sparare sulla Croce Rossa. L'8 aprile Tirana è occupata. Commenterà il vice di Ciano, Anfuso: «Se gli albanesi avessero avuto un corpo di pompieri ben addestrato, ci avrebbero gettato nell'Adriatico».

Una vittoria inutile
Quattro fucilate e l'operazione Albania va in archivio. È stata una guerra della domenica ma il regime si esalta. «Il mondo deve sapere - grida Mussolini dal famoso balcone - che noi tireremo diritto». Il 16 aprile uno sconcertato Vittorio Emanuele III riceve la corona albanese. La stampa del regime parla di «successo senza precedenti», ma i dividendi politici sono nulli. L'Albania è una delle peggiori avventure del fascismo. Non ferma l'avanzata tedesca verso i Balcani e fa perdere alle democrazie ogni fiducia nelle intenzioni pacifiche italiane. Roma crede di poter controllare l'alleato nazista, ma è una grande illusione, una delle tante. A sei settimane dall'entrata a Tirana Mussolini firmerà il Patto d'Acciaio e tre mesi dopo, a Salisburgo, Ribbentrop gelerà Ciano dicendogli in faccia che la Germania sta per scatenare la guerra. Re Zog, con i suoi pastori e i suoi quattro sassi, è già un innocuo ricordo.

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