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Once, dall'Irlanda il musical (low cost) che sbanca

di Boris Sollazzo

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30 MAGGIO 2008

Di Once (uscito in Italia il 30 maggio in 30 sale per la Sacher distribuzione di Nanni Moretti) non vi innamorerete subito. E' troppo diverso dal cinema patinato, tecnicamente perfetto, standardizzato a cui siamo abituati. Glen Hansard, per esempio, interpreta un cantante e lo è, sa suonare e dar voce come pochi altri, così come la sua coprotagonista Markéta Irglovà, polistrumentista cecoslovacca raffinatissima. "Il mio lui doveva essere Cillian Myrphy, ma non se n'è fatto nulla. Meglio così, forse senza Glen non sarebbe stata la stessa cosa". Hansard è amico e sodale del regista del film John Carney, con cui ha suonato, in passato, nella band "The frames", lei un'artista venuta a cercar fortuna in Irlanda. Non sono belli, ma vi piaceranno. Sono veri, lui barbuto e rosso di capelli, lei di un'avvenenza profonda, al di là dei lineamenti "normali", è soprattutto affascinante quell'unione speciale che riescono a creare suonando insieme, più sexy e romantico di qualsiasi bacio o scena di sesso. "E' una storia- ci racconta il cineasta- che deve molto alla mia esperienza personale. Come il mio protagonista, io a lungo sono stato a Dublino mentre la mia fidanzata (presente in materiale di repertorio che si vede nell'opera) era a Londra, nel periodo del boom, quando la capitale irlandese era piena di belle ragazze e immigrati dell'est che portavano tante novità". Così una ragazza ceca e un irlandese classico un po' ruvido, si incontrano, uniti dalla passione per la musica e da un'umanità ferita da amori delusi. Un valzer di cuori in difficoltà, delicato e molto parlato, alla ricerca di un sogno di felicità: incidere un cd e trovare l'amore. Anche se, forse, nulla va come dovrebbe. O come lo spettatore immagina. "Il lieto fine, in storie come queste, francamente non lo capisco. Parliamo di vita e di realtà, dove l'happy end non esiste, già è molto se ci sono belle storie, bei momenti". Difficile capire come Steven Spielberg, che di un finale dolce e consolatorio proprio non riesce a fare a meno, sia rimasto folgorato da questa "Love story" del nuovo millennio, da questo cinema europeo povero (di mezzi) e indipendente. Il regista de Lo squalo e di Duel ha detto addirittura che "questa storia mi ha ispirato per tutto l'anno". "Non ci credevo nemmeno io quando l'ho letto- riprende Carney, sorridendo- ma se è vero sarebbe carino da parte sua darmi una percentuale degli incassi di Indiana Jones! Solo venerdì scorso ha fatto 55 milioni di dollari, credo che mi metterei a posto per sempre. E' vero che lui non avrebbe mai fatto finire un lungometraggio come me: penso a La guerra dei mondi: muoiono tutti, tranne la famiglia di lui. In ogni caso lo ammiro molto e ne sono felice". Anche se i suoi grandi maestri sono altri. "Il cinema italiano del dopoguerra, quello di Ladri di biciclette, la nouvelle vague, ma anche l'America di Cassavetes sr.". Sembra chiaro come quest'uomo alto e magro non abbia in gran simpatia il mainstream, che sia cinematografico o musicale. "Dovremmo guardare di più a noi, ma ormai in Irlanda l'immaginario viene tutto da Hollywood, ed è un peccato. Che sia cinema o musica, spesso gli artisti più originali si fermano a Londra, non prendono il traghetto per venire anche in Irlanda". Il suo film è anche un bel ritratto del panorama underground di Dublino, dai musicisti di strada alle band da pub. "So che fa molto anni '70 e '80, ma se escludiamo i grandi come U2 e Cranberries, la situazione è questa, una piccola industria fatta di amicizie e sotterfugi, anche perché gli irlandesi non aiutano mai i loro talenti finché, come è successo con Colin Farrell, non lo fanno altri. La scena in cui Glen e Marketa prendono un prestito in banca facendo sentire un'audiocassetta delle canzoni di lui, è successa a me. Portai un vhs al mio direttore, in cui c'era una scena in cui pugnalavo la mia ragazza. Mi diede i soldi per il primo film, che ho restituito fino all'ultimo centesimo". Da artista squattrinato e alla ricerca di continui espedienti per lavorare sulle sue idee (basta guardare il film e i mezzi di fortuna usati) ora si trova con le porte della mecca del cinema spalancate. "Il Sundance di Robert Redford, selezionandomi, le ha socchiuse, l'Oscar le ha definitivamente aperte, e ora sembra che io possa fare qualsiasi cosa. Ma credo che l'importante sia non tradirsi, raccontare quello che sai e che ti viene dal cuore, non entrare nell'ingranaggio del mercato e del sistema". Vorrebbe rispolverare il vecchio musical "non quello quasi parodico alla Moulin Rouge, ma capolavori come Cantando sotto la pioggia…comunque ora sto lavorando su Town house, un film su una ragazza agorafobica prigioniera di se stessa e della sua casa. Una storia un po' dark di cui sto già scrivendo le musiche". Già, perché ci eravamo dimenticati della cosa più importante. In questo musical low budget il vero gioiello è la colonna sonora, una decina di canzoni originali (tra cui la splendida Falling slowly, che è valsa l'Oscar) che non vi usciranno più dalla testa. Buona visione e buon ascolto.


Once
di John Carney
In sala dal 30 maggio

www.onmyown.it

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