Memoria corta, pare essere un male che affligge il Bel Paese, soprattutto di questi tempi. Sono venti anni che Renato Salvatori se ne è andato, portato via a soli 54 anni, il 27 maggio 1988, da una malattia che ne stava distruggendo la fibra. Lui, il "povero ma bello", icona del cinema degli anni Cinquanta, drammatico interprete di pellicole come il viscontiano "Rocco e i suoi fratelli", è stato protagonista di più di una settantina di film, lavorando con tutti i maggiori registi del cinema italiano. E non solo. Ma in pochi se lo ricordano. Così Serravezza, la località dell'entroterra versiliese dove era nato il 20 marzo del 1934, ha deciso nel ventennale della sua scomparsa di rinfrescare la memoria di tutti noi. Una grande mostra, oltre trecento fra fotografie, manifesti, locandine, documenti, provenienti da tutto il mondo, «tutta la storia del cinema italiano, soprattutto degli anni Cinquanta e Sessanta», sottolinea il curatore Pier Marco De Santi, è ospitata fino al 22 giugno nei tre piani dello storico Palazzo Mediceo (www.palazzomediceo.com). Inaugurata alla presenza della compagna Danka Schröder, dei figli Giulia, avuto dalla moglie Annie Girardot, e Nils. A latere la proiezione dei suoi film, un ciclo praticamente integrale, che si protrarrà anche oltre la chiusura dell'esposizione, con alcuni appuntamenti fin nel mese di luglio a Forte dei Marmi. A ripercorrere la vicenda umana e artistica dell'attore arriveranno con le loro testimonianze amici, registi, sceneggiatori e critici. Si comincia sabato 17 con, fra gli altri, Giuliano Montaldo, Gianni Minervini, Manolo Bolognini. «Ugo Gregoretti, che diresse Salvatori in "Omicrom" – ci racconta De Santi – ci ha detto "non voglio fare un ricordo insieme ad altri, non sarebbe sufficiente per parlare di lui, di quello che ha dato come protagonista di Omicrom". Così Gregoretti avrà un pomeriggio dedicato. E tutte le personalità del mondo del cinema che abbiamo contattato per questa iniziativa, "Finalmente"!, ci dicevano. Chi può ci sarà». Sarà presentato anche il libro di Umberto Guidi, Lodovico Gierut e Anselmo Cantucci dedicato a Salvatori, e Francesco Solinas lo ricorderà sul set di "Queimada" di Gillo Pontecorvo, al fianco di Marlon Brando.
Perché la vicenda umana e artistica di Salvatori è veramente uno spaccato di storia italiana e un capitolo di storia del cinema; lui che lavorò, soprattutto negli anni Sessanta, con l'intero ghota del cinema italiano. Non solo Visconti, ma Monicelli, Petri, Rosy, Loy, Vancini, Maselli, Montaldo, Pontecorvo, Bertolucci, Ferreri. Anche se in molti sembrano essersene scordati. Gli inizi hanno il sapore di una favola. Povero ma bello Salvatori lo era veramente. Nato Giuseppe, Renato sarà un nome d'arte, in località Marzocchino, frazione di Querceta nel comune di Serravezza, il padre Pietro lavorava in un'azienda lapidea che ha scritto un capitolo nella storia della scultura moderna e contemporanea, la mitica Henraux (qui siamo nella zona delle celebri cave marmifere). Anche lui marmista, aiuto cameriere fin da giovanissimo, l'estate bagnino sulle spiagge della Versilia. Ed è proprio nell'estate del 1951 che avviene la svolta. Appena diciassettenne, ma con l'aria più adulta per il fisico prestante, viene individuato per un provino del film "Le ragazze di piazza di Spagna" e scelto dal regista Luciano Emmer per il ruolo di fidanzato di un'altrettanto acerba Lucia Bosé. Seguiranno pellicole dirette da Mario Soldati, Anton Giulio Majano, fino alla vera consacrazione coll'enorme successo, nel 1957, di "Poveri ma belli", diretto, non va dimenticato, da un professionista del calibro di Dino Risi, a fianco di quello che sarà l'altro povero ma bello per antonomasia, Maurizio Arena, e di Marisa Allasio. «Erano questi i film campioni di incasso in quegli anni – precisa De Santi – Il pubblico si riconosceva in queste commedie rosa di gusto nazional-popolare, massacrate dalla critica, ma in realtà lavori molto interessanti, prodotti di alto artigianato. E chi vuole capire qualcosa dell'Italia di quegli anni è proprio a questi film che deve guardare». Così Salvatori diviene il prototipo del giovane perbene, bello, onesto e lavoratore. E un divo da rotocalchi di gossip. A cavallo degli anni Sessanta seguono film altrettanto famosi, fino all'apice de "I soliti ignoti" di Mario Monicelli, del 1958, e "L'audace colpo dei soliti ignoti" di Nanni Loy, del 1960. Ma saranno proprio quelli anche gli anni della svolta professionale di Salvatori. «I registi italiani stavano decostentualizzando gli attori rispetto a ciò con cui il pubblico era abituato a individuarli – racconta De Santi – Ecco allora il tragico Gasmann attore comico. E Salvatori che esplode con grandi ruoli. Non solo "Rocco e i suoi fratelli" di Visconti, ma "I magliari" di Rosi, "Un giorno da leoni" di Nanni Loi, "I compagni" di Monicelli. Alla fine degli anni Sessanta è riconosciuto in Francia, unico fra i nostri attori insieme a Mastroianni, come uno degli interpreti più interessanti. Sono gli anni del filone poliziesco a fianco dell'amico Alain Delon. E anche nell'ultima fase della sua carriera i camei che registi come Ferreri o Bertolucci ne "La luna", quando già la malattia cominciava a manifestarsi, sono estremamente significativi. Salvatori è stato una figura importante e sottovalutata. I registi ancora viventi che hanno lavorato con lui hanno accolto la notizia della nostra iniziativa entusiasticamente e vengono tutti a portare il loro contributo».
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