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Colonna sonora per un sequestro

di Carla Moreni

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4 maggio 2008
La prima lettera di Moro
La quarta lettera di Moro

Tradotto in musica un manipolo di documenti che raccontano il rapimento e l'assassino di Aldo Moro

«Se torniamo a parlarne, trent'anni dopo, vuol dire che non ce l'hanno fatta ». Così dice Agnese Moro, la figlia dello statista, sollecitata da alcune domande a ricordare la figura del padre. Parla pacata, oggettiva, senza un filo di retorica. Siamo al Teatro dell'Elfo, a Milano, in una piccola sala ricavata nella cantina di un condominio, che ha ancora tutto il sapore della cultura come si faceva allora, negli anni Settanta.
Trent'anni dopo, un ragazzo che allora ne aveva sette, decide di mettere in musica un manipolo di documenti che raccontino il rapimento e l'assassinio di Aldo Moro.
Il ragazzo, quando parla e quando scrive, sembra provenire direttamente dall'antica Grecia. E non solo perché di nome fa Filippo e di cognome Del Corno, ed è il figlio del grande grecista. Ma perché ha il dono dell'intelligenza calda,è razionale con il cuore. Non guardate al domani però non suona tanto come un'opera lirica, come lui la definisce, quanto piuttosto come un oratorio. Su modello stravinskiano. Dove solo manca il Coro, ma lo sostituiscono i nostri silenzi, di noi che ascoltiamo.
La scrittura è centellinata su misura dei Sentieri Selvaggi, ottimi strumentisti guidati Carlo Boccadoro.
Suonano come commento oggettivo, rifuggendo ogni enfasi. Otto voci si alternano nella narrazione: ciascuna è un personaggio – e spiccano l'Aldo Moro di Roberto Abbondanza, il brigatista di Mirko Guadagnini, il papa di Giuseppe Maletto – ma nessuna tra loro possiede uno stile vocale spiccato, individuale. Giusto una pennellata di emozione contraddistingue l'appello e l'inginocchiarsi di papa Montini, nella famosa lettera, la freddezza del Br, la tragedia tra tenerezze private e accuse politiche della vittima. Nel declamato comune Del Corno chiede che non vada perduta nemmeno l'ombra di una parola, nel testo collazionato da Angelo Miotto sui documenti originali di allora. Affidando alla musica il ruolo di dilatare il tempo, e con esso la nostra labile, distratta memoria.

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