Primo Carnera, nato a Sequals, in provincia di Udine, il 25 ottobre 1906, altezza 202 centimetri, peso 125 chili, scarpe 52 è una distrazione della natura. Fisicamente inimitabile, si fa pugile per fame e il suo fisico, colossale e scultoreo, è di per sé uno spettacolo. Dopo una breve parentesi in Francia, la sua carriera di professionista si sviluppa negli Stati Uniti, trenta incontri in poco più di un anno, dal 1930 al '31, con una serie impressionante di ko contro avversari compiacenti.
Forte ma grezzo
L'uomo è fortissimo, ma il pugile è grezzo e non sarà mai completo, anche se sarà portato al titolo mondiale. La sua carriera (come tante altre) è costruita sulle combine, ma gli italiani d'America impazziscono per lui e riempiono il Madison Square Garden di New York di urla e bandiere tricolori. Carnera ha il suo pubblico, piace alle donne, rende bene agli organizzatori, e quindi deve andare avanti, fino a dove si vedrà. Il pugilato ha le sue leggi, che non sono sempre quelle del "vinca il migliore".
Un ragazzo d'oro
Primo è un campione di umiltà. Un ragazzo d'oro, onesto, emotivo, animato da una semplice e intensa bontà d'animo. Non è, e non sarà mai, un grande pugile, gli manca l'istinto del killer, ma per gli italiani è già un mito e per la retorica fascista un testimonial perfetto. Il 29 giugno 1933 compie il suo capolavoro, regalando a se stesso e all'Italia il primo titolo di campione del mondo di pugilato.
L'eroe
Al Madison Square Garden Carnera si sbarazza di Jack Sharkey con un montante destro alla sesta ripresa. La vittoria ha un'eco immensa. Mussolini gli telegrafa, la stampa lo esalta: diventa un "evento" emotivo e mediatico che supera i confini della boxe. Eroe nazionale, simbolo della forza italiana, icona popolare, portabandiera della muscolatura italica che nulla chiede alla sana pigrizia nazionale, entra nella leggenda, da cui mai più uscirà. La gloria del "gigante buono", però, è effimera e la "sua" America è una culla di sogni ma anche un inferno di dannazione. Frastornato dal successo, incapace di resistere alle pressioni dell'ambiente, Carnera getta via denaro ed energie preziose: è rimasto il ragazzo di Sequals, di un'ingenuità disarmante.
La sconfitta
La mafia, che ha accumulato sulle sue spalle milioni di dollari, lo manda allo sbaraglio. Un anno dopo la clamorosa vittoria perde il titolo contro Max Bear, dopo essere stato atterrato undici volte, complice anche la frattura di una caviglia. Dimostra grande coraggio ma la sconfitta lo butta fuori dal "giro" e la sua stella si spegne malinconicamente.
La fine
Nel '38 arriva, triste, il ritiro, con un rientro, nel '45, senza speranza né storia. Non ha più denaro. Vederlo trascinarsi sul ring del catch, nel dopoguerra, fa solo male al cuore. La salute se ne va, la cirrosi gli mangia il fegato. Ritorna in Italia nel 1967, molto malato. Il gong della fine suona il 29 giugno dello stesso anno, trentaquattro anni dopo il trionfo mondiale. Ancora oggi, al cimitero di Sequals, campeggia una scritta semplice e sincera: Viva Carnera.