L'ultima notte prima dell'offensiva tedesca è pervasa da una struggente malinconia. Il capo di stato maggiore Franz Halder, che ha voluto sorvolare l'imminente campo di battaglia, torna avvilito dall'impressione di un'immensità incontrollabile. Il generale Erich von Manstein, nella notte estiva, prova la sensazione della forza incalcolabile dei secondi che corrono nella clessidra della vita. Heinz Guderian, il "principe dei panzer", è con il suo corpo corazzato a Brest Litovsk, in Polonia. Il fiume Bug scintilla sotto le stelle. Nessun preparativo di difesa. Dunque, ancora una volta il nemico sarà colto di sorpresa. La frontiera tace. I sovietici dormono nelle loro caserme. Stalin consuma piacevolmente la notte. Poche ore e scoppierà l'inferno.
Scatta l'Operazione Barbarossa
A Mosca l'ambasciatore von Schulenburg consegna la dichiarazione di guerra a un esterrefatto Molotov, che balbetta sconvolto: «Ma cosa abbiamo fatto per meritarcela?». Al fronte l'artiglieria tedesca apre il fuoco nel momento in cui, sopra la Russia, una striscia di cielo si colora di rosa. Sono i primi colpi dell'Operazione Barbarossa. Fra il 21 e il 22 giugno, mentre si consuma rapida l'oscurità della più breve notte dell'anno, la Wehrmacht attacca dal Baltico al Mar Nero. Tra i campi di granturco e i tappeti di girasoli, sui prati e lungo le rive dei fiumi dove gracidano migliaia di ranocchi, Hitler fa scattare una morsa di carne e d'acciaio, certo di annientare il "gigante dai piedi d'argilla". Non sarà così. Il Fuehrer commette l'errore fatale cher aveva imputato al Kaiser: invade l'Urss senza avere chiuso la partita a Occidente. La sua presunzione è un cappio al collo che lo strozzerà.
Quasi otto milioni di uomini in campo
Domenica 22 giugno, alle 5,30 del mattino, la prima voce che si ascolta a Radio Berlino è di Joseph Goebbels, il geniale storpio del Terzo Reich. La sua dichiarazione, letta a nome di Hitler, termina così: «Ho deciso di affidare il destino del popolo tedesco e dell'Europa nelle mani dei nostri soldati». Tre milioni di uomini (170 divisioni, con tremila carri armati più duemila aerei) si scontrano con altri 4,7 milioni di uomini. Il primo colpo è violento e l'avanzata bruciante. Le difese sovietiche si sbriciolano. Stalin, sorpreso, tarda a reagire. La Luftwaffe domina i cieli. Hitler, nella "tana del lupo" di Rastenburg, dà ordini secchi al suo compiacente uditorio. L'esercito sovietico perde un mare di uomini e di materiali: decina di divisioni annientate, centinaia di migliaia di uomini caduti prigionieri. La Wehrmacht avanza sollevando nuvole di polvere, l'Armata rossa è sull'orlo del ko. «Basta dare un calcio alla porta per entrare a Mosca», dice Hitler trionfante. E mai previsione sarà così clamorosamente smentita dai fatti.
Da Mosca non si passa
La spinta della Wehrmacht si esaurisce. In novembre-dicembre Hitler perde la battaglia di Mosca, la campagna di Russia e la guerra. È la fine della guerra lampo e l'inizio di uno scontro di logoramento che la Germania non potrà mai vincere. L'esercito di Stalin, con le sue immense riserve, si ricostruirà come un organismo primitivo. Gli orgogliosi soldati del Fuehrer cadranno nel silenzio come foglie catturate dal vento. Il tempo del Terzo Reich rapidamente scadrà e dal cadavere bruciato di Hitler si leverà lo stesso odore nauseante che usciva dai camini dei suoi lager maledetti.