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Nico, la musa dark dei Velvet Underground

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17 luglio 2008
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«C'è posto qui per due creature infelici?». Federico Fellini ha sempre avuto l'occhio lungo per le bionde. Quando vide arrivare, in visita nel 1959 sul set de «La Dolce Vita», quella Christa Päffgen che tutti chiamavano Nico, ne restò affascinato e la volle nel suo film. Ventunenne originaria di Colonia, era già comparsa ne «La Tempesta» di Alberto Lattuada e in «For The First Time» di Rudolph Maté. Non proprio quel che si dice interpretazioni memorabili. Fellini però ne fece un simbolo, riuscendo a evidenziarne il lato decadente e crepuscolare prima ancora che, intrapresa la carriera musicale, diventasse la sacerdotessa indiscussa del lato oscuro del rock. A caccia di un passaggio insieme all'amico Marcello (Mastroianni), «C'è posto qui per due creature infelici?», butta lì «Nicolina» in un celebre episodio del film-capolavoro.

Modella, attrice e musicista, Nico è morta a Ibiza vent'anni fa, il 18 luglio 1988, in seguito a una banale caduta in bicicletta. Emorragia celebrale, dicono i referti medici. Tutto ci si poteva aspettare, da una con almeno 15 anni di eroina alle spalle, meno una fine così ordinaria. Per giunta nella stessa isola delle Baleari dove, in un certo senso, era nata la sua leggenda, allorché il fotografo Herbert Tobias l'aveva ribattezza Nico, lei appena 15 enne, in onore del di lui ex compagno e regista Nico Papatakis.

Fu Bob Dylan a presentarla al guru della pop art Andy Warhol. Il quale, dopo averla voluta in alcuni corti realizzati insieme al regista Paul Morrissey, praticamente la impose come cantante ai suoi protetti Velvet Underground. Il primo album della band capitanata dal cantante e chitarrista Lou Reed e dal polistrumentista John Cale, quel «The «Velvet Underground & Nico» con la banana in copertina, vede la voce cavernosa di Nico riempire gli spazi vuoti di «Sunday Morning» e cimentarsi da solista in altri tre classici: «All tomorrow's parties», «I'll be your mirror» e «Femme fatale».

Non è chiaro come mai quella collaborazione durò solo il tempo di un album. «Volevano sbarazzarsi di me perché ricevevo più attenzioni di loro da parte della stampa», ebbe a dire Nico qualche anno dopo. Forse però la ragione principale risiede in quel triangolo amoroso, con invitabile contorno di gelosie, che la vide legarsi prima a Reed e poi a Cale (com'è che fa «Femme fatale»? She's going to break your heart in two…). Nico non era estranea a questo tipo di situazioni. Improntato a un rigoroso turnover, il suo curriculum amoroso era degno di una groupie, includendo stelle del cinema come Alain Delon (da cui ebbe un figlio nel 1962) e leggende del rock come Brian Jones, Jim Morrison, Tim Buckley e Iggy Pop.

Tracce di Reed e, soprattutto, di Cale in veste di produttori, compositori e musicisti si trovano comunque disseminate lungo tutta la carriera solista di Nico. A cominciare dall'lp «The Marble Index» (1968), che segue il timido debutto «Chelsea Girl» (1967), passando per «Desertshore» del 1970 e «The end» del 1974, dove si cimenta in un'oscura cover dell'omonimo pezzo dei Doors. Atmosfere notturne, tessiture vocali cantilenanti e sentimentalismi decadenti intarsiati con l'harmonium che le aveva regalato Cale: gli ingredienti del dark sono tutti qui. «Sono venuta per morire con voi», ha esordito una volta davanti al suo pubblico. Poco importa se i successivi «Drama of exile» e «Camera obscura» non saranno all' altezza del mito. La leggenda gotica era nata e non basta certo una sciocchezza come la morte per cancellarla.

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