Sembrava di essere ritornati agli anni d'oro del Festival. Quando gli spettatori, entusiasti, riempivano l'antico teatro Romano. Dove brillavano le stelle della danza internazionale. E' quanto abbiamo constatato con piacere a Spoleto per lo spettacolo «Men only – A mosaic of dances» che Alessandra Ferri – direttrice artistica per la danza nella nuova gestione del Festival diretto da Giorgio Ferrara – ha imbastito egregiamente seppur in breve tempo. Una formula originale di Galà con protagonisti solo maschili. All'insegna della qualità. Hanno aperto le danze l'Aterballetto con una travolgente coreografia di Mauro Bigonzetti «Psappha», versione arcaica del nome della poetessa Saffo che inventò il principio astratto di variazioni ritmiche. Affidata ad un gruppo di soli uomini la coreografia vede al centro della scena un percussionista. Impegnato a suonare la musica di Iannis Xenakis con una varietà di strumenti multietnici, egli dà il tempo e il ritmo agli atletici e impeccabili danzatori che entrano correndo compatti, per poi smembrarsi e ricongiungersi in gruppi e assoli. La loro corsa circolare quasi a staffetta, è continuamente interrotta da cadute a terra di forte impatto, da slanci turbolenti, da una gamma vertiginosa di variazioni. Lasciato il posto a una sedia, punto focale di una danza di abbandono, di struggimento e di speranza, Gil Roman, ballerino bejàrtiano di straordinaria bravura, ci ha emozionato nell'intenso assolo creato per lui da Bejàrt «Adagietto» sulla Sinfonia n.5 di Mahler. Di tutt'altro registro «Charlot danse avec nous» con un ancor giovane Luigi Bonino, interprete storico della celebre coreografia di Roland Petit. Una serie di divertenti e geniali gag danzati in omaggio al grande Chaplin. Divertente e spiritoso è anche il già visto «Les bourgeois» di Ben Van Cauwenbergh sulla canzone irriverente di Jacques Brel eseguito brillantemente dal giovane russo Alexander Zaitev del Balletto di Stoccarda. «Suite of dances» di Jerome Robbins, dialogo giocoso col violoncello su musica di Bach, è un elegante brano di fattura neoclassica, ma un po' troppo morbido nell'interpretazione di Damian Woetzel. Non è mancata, nella varietà di stili proposti, la virilità tenebrosa e scintillante del flamenco nella «Suite flamenco» nell'interpretazione principale di Adrian Galìa, della compagnia creata da Antonio Gades. Ma il pezzo forte della serata è stato «Le chant du compagnon errant», capolavoro di Bejàrt creato nel 1971 per Rudolf Nureyev e Paolo Bortoluzzi e successivamente affidato a Laurent Hilaire e Manuel Legris, gli unici autorizzati ad eseguirlo, dopo che Bejart la ritirò nel 1993, alla morte dei primi interpreti. Le due «anziane» stelle dell'Opera di Parigi, ancora in gran forma, ci hanno regalato uno struggente duetto intriso di lirismo che si fa canto senza parole del destino, dell'amore e della morte. I danzatori raggiungono una tale sintonia e perfezione sul piano tecnico e interpretativo che la loro performance è diventata un parametro imprescindibile per apprezzare uno dei lavori più intensi e poetici del grande coreografo. In chiusura uno scatenato Savion Glover in «The evidence». Il ballerino statunitense, si alterna con altri due colleghi su tre piattaforme amplificate battendo piedi e tacchi per un tip tap ad alto tasso adrenalinico.
«Men only – a mosaic of dances», Festival di Spoleto, fino al 13 luglio
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