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Lanterne rosse / di Dario Ricci
 

Olimpiadi di Pechino: la cerimonia di chiusura e la retorica cinese

di Stefano Biolchini

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24 agosto 2008

Non poteva essere altrimenti. Numeri impressionanti anche per la cerimonia di chiusura di queste Olimpiadi. Con l'otto benaugurante della numerologia cinese a far da re in molte delle coreografie. Poi l'oro delle medaglie e il rosso del nastro declinati al centro dello stadio. Geometrie ossessive, con gli atleti intrappolati in una struttura che nonostante l'ampiezza si fa asfittica. Settemila i figuranti. L'ordine perfetto nella massa. E i microcosmi delle nazioni rappresentate che si compongono in una festa, dove anche i baci e la gioia inevitabilmente si esibiscono a favor di telecamera. Sarà perché la ferita del Tibet brucia irrimediabilmente, o forse perché questa Cina che si autocelebra in maniera sfacciata non convince, ma in questo bellissimo Nido d'uccello la sensazione è di "claustrofilia". A vedere questa manifestazione, e pensando a quella mastodontica dell'apertura, torna insomma inevitabilmente alla memoria Elias Canetti e il suo Autodafé. Luoghi geometrici ripetuti ossessivamente che sconfinano nel grottesco dei bimbi alla batteria, un senso di frammentazione che nessun ordine imposto riesce a contenere. Finalmente l'assurda favola cinese è finita. E la melassa olimpica con lei. L'ideale "società armoniosa" e la "convivenza ordinata" che la Cina pretende di rappresentare e che ha nel regista Zhang Yimou l'alfiere, regge alfine solo alla prova televisiva.

Per il cineasta di Lanterne Rosse, «l'uniformità produce bellezza». Ed è questa perfezione estetica prerogativa della Pechino dove «il senso dell'ordine, l'ubbidienza, la bellezza delle masse ed il loro movimento armonico rendono realizzabili elevate prestazioni artistiche». Sarà. Leni Riefenstahl, la fotografa che celebrò i Giochi di Hitler a Berlino, non fu meno armoniosa. Siamo certi che a Londra - dove agli organizzatori per il confronto tremano già le vene ai polsi - non si realizzeranno simili armonie: d'apertura e chiusura. Nonostante la prova ben augurante di Jimmy Page. E' che nella capitale inglese i diritti umani e sindacali hanno ancora un certo peso: per il "disdoro di scenografi, architetti e cineasti". La Pechino regina del mascheramento ha esibito tutta la sua forza di superpotenza economica, sportiva e organizzativa, occultando alle telecamere nell'ordine: la protesta, il ricordo di Tienanmen, la tragedia tibetana, lo smog, il mancato rispetto dei diritti umani e dei lavoratori. Tutti problemi con cui la Cina da domani dovrà inevitabilmente fare i conti. Abbiamo avuto in compenso molti bambini gioiosi, ai tamburi come alla batteria. Una parentesi festosa, giusto il tempo per allontanare l'ombra delle tante bambine che ancora in Cina vengono soppresse alla nascita. Tra i fuochi d'artificio il testimone passa a Londra. Che Dio salvi la regina. E anche lo spirito olimpico.

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