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GIOCOPENSANDO / «Consecutio temporum», impara l'arte e mettila da parte

a cura di Giuseppe Antonelli

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21 agosto 2008
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Le conseguenze del tempo
Il 13 gennaio 1822, Leopardi annota nel suo Zibaldone che l'uso dell'imperfetto irreale è «frequente ed elegante in italiano ancora, (e principalmente nei nostri più antichi ed eleganti scrittori)». Pensa forse ad Ariosto («muto restava, mi cred'io, se quella / non gli rendea la voce e la favella») o allo stesso Petrarca, autore di periodi ipotetici come questo: «Ma s'io v'era con saldi chiovi fisso, / non devea specchio farvi ... aspra e superba» (cioè: «se io fossi stato saldamente fissato nel vostro cuore, lo specchio non avrebbe dovuto rendervi aspra e superba»). Ma oggi non ci si rivolge all'italiano antico per autorizzare determinati usi (ché se no dovremmo prendere per buono anche il tipo "che tu vadi", usato ininterrottamente da Petrarca fino a Leopardi: meglio invece lasciarlo a Fantozzi), quanto piuttosto per ricostruire lo sviluppo e la diffusione di determinati modi e costrutti. Ad esempio, per sfatare il pregiudizio in base al quale la larga presenza dell'indicativo nelle completive (penso che è giusto e simili) si dovrebbe al cattivo esempio dell'italiano di Roma. Basta scorrere un po' di prosa letteraria tardo ottocentesca per ritrovare il costrutto in scrittori siciliani («Io credo che i Giulente sono nobili», De Roberto), nordestini («mi pare che deve essere così», Nievo), lumbàrd («io credo che lei è un gran buon uomo», De Marchi). La storia della lingua ci dice anche che solo dopo la metà del 900 si è smesso di usare il condizionale semplice per il futuro del passato («disse che si farebbe», Manzoni; «lo sapevano bene a che ora tornerebbe», Palazzeschi). In questo caso, ad agire è stata una spinta alla differenziazione tra rapporti temporali distinti; proprio quella che è alla base di tutta la consecutio temporum: c'è un tempo per la contemporaneità e uno per l'anteriorità (e la posteriorità), e soprattutto: c'è modo e modo.

Prova di grammatica
Coniugate il verbo proposto tra parentesi in modo che risulti accettabile in un testo formale.
1) Se andassimo lì, (venire) anch'io con voi.
2) Non gli sembrava che (essere) lui.
3) Uscimmo, benché (piovere).
4) Il libro te lo presterà lui, ammesso che (avere) finito di leggerlo.
5) Sebbene ora il malato (mangiare), è ancora debole.
6) Quando gli offrirono un lavoro, disse che non lo (volere).
7) Ne parleremo, purché tu (rimanere) qui.
8) Sembra impossibile che (essere) proprio lui.
9) Penso che certe cose (andare) dette.
10) Chi lo sa (alzare) la mano.

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