Locarno è un diesel, ha bisogno di carburare e di solito alla lunga non delude. Così l'inizio a marce basse delle giornate inaugurali non preoccupa: l'anteprima bagnata di Brideshead revisited ha soddisfatto gli amanti dello stile più classico e ampolloso, mentre Amos Gitai ha soddisfatto i sostenitori del cinema etico con la sua intima tragedia familiare e pubblica, così come anche Ozcan Alper con Sonbahar, storia di una giovinezza stroncata da ideali e repressione.
Brideshead revisited- Piazza Grande
Due ore e dodici minuti sono una sfida per molti, spettatori e registi. Se poi vengono usati per tornare al 1925 a Oxford, in un contesto aristocratico e romantico, il rischio del classico "polpettone" è dietro l'angolo. E in parte è così per il film di Jullian Jarrold, qui in anteprima europea (già ottimi i risultati in Usa), che dopo Becoming Jane torna a indagare il passato più o meno recente della sua Inghilterra. Tra indagine religiosa, sociale e sentimentale- al centro una nobiltà britannica sempre meno privilegiata, alle prese con scelte spirituali (e non solo)- si sviluppa il più classico degli amori proibiti, combattuto dalla "perfida" Lady Marchmain, un'Emma Thompson usata con parsimonia e che dà la solita eccellente interpretazione. Un toccasana, comunque, per gli amanti del genere.
Plus tard tu comprendras- Piazza Grande
I viaggi nella memoria di Amos Gitai, soprattutto quella sua e della cultura di provenienza, ormai sono cinematograficamente proverbiali. Questo film, già passato a Berlino, lo conferma, rendendo ancora più etica e meno epica la strada da percorrere. L'ultimo lungometraggio del regista israeliano- che qui al festival viene insignito del Pardo d'onore, ambito premio alla carriera- è la storia di Victor, un uomo già adulto e con famiglia – atipicamente bella e brava, nei suoi sguardi e nella sua presenza discreta, la moglie Emanuelle Devos- che scava nella storia della sua famiglia, scoprendone dolorosi segreti e origini insospettate. "Un giorno capirai" le dice la madre- una Jeanne Moreau intensa- quando lui le chiede spiegazioni della sua sempre taciuta provenienza ebraica e di certi comportamenti paterni poco chiari. E' una via lastricata di atroci scoperte quella del passato, ma serve a una nuova consapevolezza, ad aprire le finestre della sua vita (è un atto che, fisicamente, lui, Bill Milner, fa di continuo).
Sonbahar- Concorso internazionale
Anteprima internazionale per l'opera prima di un nuovo talento della nouvelle vague turca, Ozcan Alper. Semplice, quasi scarnificata, la storia che ha voluto raccontare: Yusuf (Onur Saylac, ottimo) era un giovanissimo socialista idealista che ha passato un decennio in prigione in seguito a un processo politico. Non sapremo mai delle sue eventuali colpe, ma solo del suo difficile presente: finalmente libero, ma imprigionato dal tempo perduto e da una malattia, anch'essa ignota se non nei suoi sintomi, una tosse e un pallore costanti. Lo seguiamo nei suoi faticosi spostamenti, nel suo stentato ritorno alla vita che si lega a passato e futuro. Il primo è rappresentato dall'amico d'infanzia Mikhail, il secondo dalla prostituta georgiana appassionata di letteratura russa Eka (Megi Koboladze, incantevole). Un buffo triangolo, disturbato saltuariamente dalla mamma petulante e da un bimbo distratto e silenzioso, che racconta la storia di due cuori senza capanna, di esistenze disastrate che non hanno diritto alla felicità. Seguiamo un amore impossibile e difficile, che alla fine si perde quasi prima di cominciare, in un finale silenzioso e pieno di (troppe) metafore. Un film interessante che apre uno squarcio su un cineasta emergente che avrà tempo per correggere i non pochi errori del suo esordio. Per noi è un nuovo sguardo su quel mondo contraddittorio che è la Turchia, dalla mente moderna e cuore antico.