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Regalo un po' della mia fortuna

di Paul Newman

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4 ottobre 2007

Personalmente sono stato estremamente fortunato nella mia vita. Ad esempio, sono nato in un Paese e in una famiglia che mi hanno garantito opportunità e sostegno, è capitato che avessi "l'aspetto giusto" per fare cinema quando è cominciata la mia carriera cinematografica, ho fondato un'azienda alimentare seguendo un capriccio e, nonostante tutti i miei sforzi per dimostrare che non sono un uomo d'affari, questa azienda è cresciuta fino a diventare un'impresa di grande successo.
Non voglio dire che la mia vita sia stata segnata solo dalla buona sorte. Ho avuto anch'io la mia dose di esiti insoddisfacenti, quello che faccio lo faccio con impegno e ci sono state moltissime persone che mi hanno aiutato a conseguire tutti i successi che ho raggiunto. Ma se fossi nato altrove, con un altro Dna, in diverse circostanze, avrei avuto il successo che ho avuto nei film e negli affari? Pensate a Bill Gates: se fosse nato in Papua Nuova Guinea avrebbe fondato la Microsoft e sarebbe diventato oggi l'uomo più ricco del mondo, o magari avrebbe progettato un modello più efficiente di canoa ricavata da un tronco d'albero?
Condividere la propria fortuna con altri è quello che è la filantropia per me. La mia motivazione non è né profonda né complessa. Per me, la filantropia è qualcosa di naturale, come alzarsi al mattino. È semplicemente la cosa giusta da fare. Cosa può esistere di più importante di tendere la mano a un'altra persona meno fortunata di te, o contribuire in altre maniere a migliorare questo mondo?
Ringrazio «Il Sole-24 Ore» che mi ha dato l'occasione di esprimere le mie opinioni riguardo alla filantropia e sono molto felice di farlo in celebrazione dell'impegno del Dynamo Camp in Toscana, che esprime concretamente le mie più importanti idee e aspirazioni in materia di filantropia.
Il Dynamo Camp è il primo dei campi estivi di «Hole in the Wall» aperto in Italia, anzi è il primo nell'intera area del Mediterraneo ed è rivolto a bambini affetti da malattie potenzialmente mortali. Il Dynamo Camp si aggiunge ad altri nove campi estivi della «Hole in the Wall» sparsi in tutto il mondo, che complessivamente hanno ospitato, nel 2007, 16mila bambini.
Alla base del Dynamo Camp c'è quello che per me è il senso della filantropia. Questa struttura è costruita e sostenuta tramite donazioni, e dipende dall'apporto di moltissimi volontari ogni anno, che contribuiscono a mettere in pratica i suoi programmi. Le donazioni e il volontariato sono aspetti che tutti riconoscono immediatamente come parte integrante della filantropia, ma il Dynamo Camp rappresenta anche la cosa che più si avvicina a una mia filosofia della filantropia: il ruolo che gioca la "fortuna" nella vita di tutti. Fortuna, fortuna media o pura e semplice sfortuna. L'aiuto che la fortuna può concedere alla vita di certe persone, o la brutalità che la sfortuna può portare nella vita di altre.
Come altro si può definire la sorte di un bambino a cui viene diagnosticato il cancro, l'Aids, la talassemia o qualsiasi altra malattia potenzialmente mortale? Non è altro che sfortuna, una terribile sfortuna. Malattie come queste non si limitano a provocare dolore e incertezza, ma, nel caso di un bambino, possono terrorizzarlo e isolarlo in un modo che per noi adulti può essere inimmaginabile, privare il bambino della possibilità stessa di vivere l'infanzia. Ci sono molte cose che si possono dire del Dynamo Camp, ma il suo obiettivo primario è regalare un po' di fortuna a questi bambini.
Come disse una volta Abramo Lincoln, «nessuno è così alto come quando si china per aiutare un bambino». Avrebbe potuto facilmente aggiungere che quello che ti dà in cambio un bambino è molto di più di quello che gli hai dato tu per aiutarlo.
Le mie considerazioni sulla buona sorte non sarebbero complete senza spendere qualche parola per dire quanto mi senta fortunato ad avere un campo della «Hole in the Wall» in Italia. Mia moglie Joanne e io ricordiamo con tenerezza i nostri viaggi in Italia durante le nostre rispettive carriere cinematografiche. Nel maggio 2006, sono ritornato nel vostro Paese dopo molti anni, e ancora una volta sono rimasto impressionato dal calore e dall'esuberanza dell'Italia, e dal suo affetto verso i bambini. Non posso pensare a luogo migliore per un campo estivo destinato ai bambini, e non vedo l'ora di tornare qui.
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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