Come è cambiata Manhattan: da frenetica e pulsante di vita come l'avevamo conosciuta con i film di Woody Allen la ritroviamo arrancante e spenta nel libro di Ed Park "Maledetti colleghi" appena uscito in Italia per Fazi editore. Se Allen metteva in scena una classe agiata in cerca di creatività, Park fa vedere una middle class a pezzi e disillusa dalle promesse della new economy. In paragrafi brevi, quasi frantumi che danno il senso di queste esistenze "a pezzi", vengono vissute le inquietudini di un gruppo di impiegati attanagliati dal terrore di perdere il posto di lavoro.
In questa condizione passano le loro giornate in un palazzo incastrato in una strada semideserta di Manhattan, in attesa di annunciati licenziamenti a raffica, dopo il cambio di proprietà "californiano".
Kafkianamente, i licenziamenti seguiranno l'ordine alfabetico delle iniziali del nome: le prime a cadere sono le J, poi le K e così di seguito. Agli impiegati non resta che incollarsi alle sedie, alle scrivanie, ai terminali, nella speranza che nessuno li schiodi via, e ricorrere a email di delazione per danneggiare i colleghi stramaledetti. Quelli meno aggressivi possono fare come Crease, uno che cambia continuamente postazione, in modo da rendersi introvabile come lui nel caso stia per arrivare il licenziamento.
E' un repertorio tragicomico di piccole strategie di resistenza alla logica del grande capo basata esclusivamente su percentuali e sulla lettura cinica di Machiavelli.
Per chi decide di tenersi fuori dalla portata del capo che costringe i suoi sottoposti a imbarazzanti partite di softball c'è il trasferimento a una scrivania "in Siberia", nella no man's land di un angolo dell'ufficio distante chilometri dagli ascensori, dimenticato da tutto e da tutti anche da Jack il massaggiatore a tempo perso. Ci sono altri come lui incuranti di tutto che passano la giornata su Google, ad esempio Laars alla ricerca genealogica dei suoi antichi flirt.
C'è un'umanità nel primo romanzo brillante di Ed Park simile a
quella di "E poi siamo arrivati alla fine" di Joshua Ferris, finalista del National Book Award 2007: entrambi ambientati in uffici sconvolti dai licenziamenti.
Ma questa è la realtà del lavoro che è impossibile per gli scrittori
realisti ignorare.