Muore povero, a 52 anni, lasciando un grande nome: è Leo Longanesi, l'inventore del giornalismo italiano moderno. Lo uccide un infarto a Milano, al tavolo di lavoro, fra le sue carte. Fa appena in tempo a dire: «Ecco, come avevo sempre sperato». è il 27 settembre 1957. Pochi giorni prima, angosciato, aveva chiesto a un amico: «Perché sono così solo?». Sul suo taccuino, in data 16 maggio, aveva annotato: «Un vero peccato vivere quando tanti elogi funebri ci attendono».
Il talento a tutto campo
Creativo, intuitivo, originale ma anche tenace e operoso, Longanesi è un artista geniale e un ottimo artigiano. In trent'anni di lavoro fonda "L'Italiano", "Omnibus", la casa editrice Longanesi, "Il Libraio" e "Il Borghese". Grafico, giornalista, scrittore, editore e pittore, rivoluziona il mondo dell'editoria e della comunicazione. è l' "eterno ragazzaccio" del giornalismo italiano, con una pietra pomice al posto del cuore. «Sono un ago che punge - dice di sé - ma non cuce mai niente». E aggiunge, alludendo a statura e carattere: «Sono un carciofino sott'odio». Copre i nemici di battute brucianti, di frustate sulla schiena. Tutti lo temono, pochi lo amano, ma molti lo rispettano.
Uomo solo
Mai servile, mai allineato, sempre disinteressato, sempre all'opposizione, è un borghese solitario, un uomo contro. Nemico dell'Italietta piatta e conformista, distribuisce il bene e il male, ma sempre gratis. Crepuscolare e crudele, sentimentale (raramente) e cinico, è tutto e il contrario di tutto, portato dal suo carattere, dalle emozioni, dalla rabbia. Nessuno è più solo di lui, allegro per copione ma disperato dentro: una disperazione nascosta sotto il polverone degli aneddoti, dei paradossi e delle battute, che tutti ricordiamo, forse dimenticando la sua profonda malinconia.
Il "nemico" Malaparte
Due mesi prima di Longanesi, il 19 luglio di quel fatale 1957, se ne è andato per un tumore ai polmoni, Curzio Malaparte. È stato l' "enfant terrible" della cultura del suo tempo, stravagante e disordinato nella vita, seminatore di delusioni d'amore negli stanchi palazzi di contesse ed ereditiere, amatore fervido, ma anche innamorato pazzo del suo mestiere di giornalista-scrittore, con il vecchio istinto che gli è sempre rimasto dentro. Epicureo impenetrabile e imprendibile, uomo di destra, di sinistra e di nulla, aria da dandy aggressivo, un po' tribuno e un po' qualunquista, protagonista fino all'ultimo fra amori, odi, donne, duelli, ire, polemiche, muore in un letto di ospedale senza la forza di sbattere la porta ma riuscendo, di quella morte spettacolare, a essere quasi l'inviato speciale. Se ne va portandosi dietro il suo dannunzianesimo mancato, l'esibizionismo maniacale, il copione di uomo fatale, quel pizzico di cattivo Balzac che era in lui. Chiamava Longanesi "nano maledetto". E di lui proprio Longanesi aveva scritto una sorta di epitaffio: "A un matrimonio vuole essere la sposa, a un funerale la salma".