E' una gestualità disarmonica, convulsa, isterica. Brutta, si direbbe. Sgradevole. E invece rimane impressa più di ogni altra coreografia dalle forme esteticamente ricercate. «Pitiè» avvince. E arriva come un pugno allo stomaco. Anzi, al cuore. La «Pietà» del belga Alain Platel è una preghiera laica, un manifesto della compassione, della sofferenza sublimata nel suo stesso grido di impotenza. Punto di partenza è la «Passione secondo Matteo» di Bach rielaborata dal compositore Fabrizio Cassol in chiave jazzistica e folate d'Africa, con tre cantanti lirici: una Madonna, una Maddalena, e un Gesù nero. Elegantemente neri sono i loro costumi, in contrasto con quelli casual coloratissimi dei danzatori. Quell'inizio con le parole «E il Verbo si fece Carne» detto da uno degli interpreti seduto su una panchina, segna l'inizio di uno spettacolo all'insegna di una fisicità sofferente: un'umanità marginale che cerca pace e redenzione. Nei suoi spettacoli il coreografo e pedagogo Platel alla guida della compagnia Les Ballets C. de la B., ha sempre coniugato la dimensione della sofferenza alla creazione artistica. Un teatro danza che si nutre della realtà quotidiana, del vissuto. «Pitiè» innesca stimoli gestuali, contorsioni, movimenti apparentemente scoordinati. La scena è ingombrata da una torretta di legno con sopra la piccola orchestra e due scale che conducono ad un altro piano, e, sospese, pelli scuoiate di buoi. Una coppia inizia a punzecchiarsi, altre si toccano tirando la pelle come a strapparsela, o tirando i capelli del partner e facendolo roteare. Una donna urla la sua fame e prende a morsi il piede di un cristo deposto sul tavolo, per poi accanirsi su una lattina senza riuscire ad aprirla. C'è chi si aggira con una minacciosa scure in mano; e chi, come un danzatore in preda ad un raptus, quasi spastico, placandosi accende fiammiferi. Gli interpreti si avvinghiano, si colpiscono come a volersi trafiggere vicendevolmente nei ripetuti affondi nel petto. Sono azioni, individuali e collettive, dove ogni singolo danzatore cerca il contatto forte con gli altri, ma senza violenza o brutalità. Pur nell'energico impatto c'è dolcezza, sensibilità all'altro. E quel cercare di spellarsi, anche autopunitivo, rivela un bisogno di liberarsi del pesante fardello della pelle alla ricerca dell'anima. Propria e altrui. Nella disarticolazione della danza i corpi acquistano una deformità plastica che ricorda la figure di Bacon: con la testa in giù fino a farla scomparire, i performer danzano a quattro zampe mostrando solo la schiena e le braccia. Nel ricomporsi allucinato si compattano in molteplici tableaux vivant di umanissima bellezza pittorica, che riprendono la celebre "Deposizione" di Rosso Fiorentino. La composizione mossa e dinamica delle figure, vive dentro il manto di una madonna che raccoglie questa umanità diseredata sotto due azzurri teloni di plastica, mentre il controtenore nero con l'effige di Cristo sulla maglietta, danza e canta sul tavolo incitato dalla domanda: «Che cosa provi?». Dal singhiozzo soffocato da mascherine sulla bocca, altre frasi si rincorrono nella ripetuta dichiarazione d'amore universale «Vi amo tutti!»; fino a sfociare nel recitativo musicale: «Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Al corale grido muto tracollano le luci di scena. E un silenzio emozionante, rotto solo dal suono di una tromba, scende sul teatro. Agli abbracci finali che sembrano confortare e condividere la supplica d'amore, segue l'uscita di scena degli interpreti. E la sola lattina rimasta per terra ancora chiusa, ci dice, forse, un mistero insondabile. Quello del dolore, incomprensibile senza la pietà. Per essere meno soli.
«Pitié!» di Alain Platel e Fabrizio Cassol. Les Ballets C. de la B., musica dal vivo di Aka Moon, scenografia Peter De Blieck, luci Carlo Bourguignon. Al Teatro Comunale di Modena per Vie Scena Contemporanea Festival, quindi al Comunale di Ferrara il 26 e 27 novembre, e all'Auditorium Parco della Musica di Roma per Festival Equilibrio dal 19 al 21 febbraio 2009.
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