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Ricerca e industria, una nuova alleanza

di Umberto Veronesi

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17 ottobre 2004

Un Paese senza ricerca scientifica uccide il suo futuro. Non c'è dubbio su questo principio, che allinea economisti e scienziati, filosofi e politici. Resta il problema di come applicarlo. E anche qui su un primo punto siamo tutti d'accordo: servono maggiori investimenti.

É di luglio scorso l'articolo apparso su <Nature> sulla classifica mondiale della ricerca scientifica, che ci ha segnalato che in Italia gli investimenti in ricerca sono diminuiti di cinque volte negli ultimi dieci anni, trascinando l'Italia all'ultimo posto fra i Paesi del G8, alla stessa posizione della Polonia. Nel rapporto fra Pil e ricerca scientifica il nostro Paese è al sedicesimo posto e la Spagna, ad esempio, fa l'industria, scopriamo che il nostro Paese è nuovamente agli ultimi posti, dietro anche alla Russia: la nostra industria spende lo 0,53% del Pil contro il 2,12 del Giappone e l'1,97 degli Stati Uniti.

Eppure aumentare gli investimenti non basta; ci vuole una strategia.
Senza una strategia d'investimento in ricerca, basata su una cultura della scienza condivisa, l'Italia farà fatica a risalire la china all'interno del gruppo di nazioni che ha l'ambizione e la responsabilità di orientare le scelte del mondo.

É innanzi tutto un problema di sincronia. Le tre grandi vie del Nuovo: la ricerca sulle telecomunicazioni, sull'informatica e sulle biotecnologie procedono ad altissima velocità, spinte dalla forza delle idee. Nel passato le materie prime e la manodopera potevano fare la differenza nello sviluppo di una nazione. C'era il tempo di prevedere, programmare, produrre, regolamentare secondo l'etica della convivenza civile. Oggi sono le idee, la passione delle nuove generazioni a spingersi oltre e a esplorare nuove frontiere, a fare la differenza fra un Paese e l'altro. Le idee non possono aspettare. Se precorrono o rispondono ai desideri del mercato, subito si produce la novità e l'industria deve rincorrere l'idea, la ricerca deve rincorrere il mercato, e la società arriva per ultima, con le sue leggi e i suoi principi, per codificare l'intero processo, a cose fatte e spesso in modo inadeguato.

L'esempio più semplice e ovvio è quello dei telefoni cellulari che si arricchiscono di nuove funzioni con una rapidità impressionante. Dalla parola, all'immagine, all'elaborazione informatica, questi apparecchi si sono trasformati in piccoli centri ad alta tecnologia per la raccolta e la trasmissione di dati, imponendoci nuovi linguaggi e nuovi ritmi di lavoro e relazioni interpersonali.

Chi ha tempo di fermarsi e pensare dove va la ricerca in questa tecnologia, o se la nostra industria è preparata alle nuove tecniche di produzione e come le nostre legislazioni tutelano la persona in questa nuova rete comunicativa?
É in secondo luogo, dunque, un problema di cultura. Se società, scienza e tecnologia proseguono separatamente sul loro cammino, come entità distinte, senza condividere l'una i principi e i progressi dell'altra, non arriveremo mai al progresso, inteso come miglioramento della vita e dell'ambiente in cui viviamo, ma avremo avanzamenti in un campo che creano dilemmi o addirittura regressioni in un altro.

Per questo è indispensabile instaurare un dialogo fra industria, società e scienza per arrivare a un Disegno Strategico per la Ricerca, che unisca le visioni e le competenze di tutti. Non è un progetto rivoluzionario. Il progresso della scienza in fondo è sempre stato influenzato dalla situazione storico-economica e il problema della libertà di ricerca nasce con le ricerca stessa. A ben pensarci gli albori del pensiero scientifico risalgono alla geometria, nata come risposta a una necessità "di mercato", che era quella di dividere razionalmente la terra da coltivare. Dobbiamo recuperare il rapporto originario fra scienza e comunità se non vogliamo ritrovarci a vivere in un Paese zoppo, che arrancherà accanto a Paesi in grado di correre con gambe sempre più potenti ed efficienti.

La mia proposta a questo riguardo è già nota.
Occorrerebbe una "Grande Alleanza per la Scienza", una sorta di "Camera Alta", formata da intellettuali indipendenti delle varie discipline del pensiero moderno. Il suo compito sarebbe quello di ideare e costruire appunto una strategia e un grande progetto di sviluppo scientifico che agisca a 360 gradi. Bisogna iniziare insegnando ai ragazzi delle scuole il primato della ragione e delle idee, la cultura della razionalità e della metodologia scientifica e il rifiuto della superstizione e dell'approssimazione. Per poi creare una serie di istituti scientifici di ricerca dove i nostri migliori talenti possano dedicarsi al loro lavoro.

Pubblico e privato possono collaborare per creare le condizioni necessarie a trattenere nel nostro Paese gli scienziati migliori. C'è un modello a cui ci si potrebbe ispirare. In Gran Bretagna il governo finanzia la costruzione di strutture e la messa a disposizione di macchinari, ma spetta al singolo ricercatore - con la qualità dei suoi studi e del suo lavoro - procurarsi i fondi necessari per portare avanti la sua ricerca. Il sistema dei grant, delle elargizioni private, di solito funziona. Si tratta di una piattaforma a doppio binario: lo Stato finanzia le strutture, i privati sostengono le idee e le ricerche. Ma anche per avviare il meccanismo di questa strada mediana, occorre una "Grande Alleanza".

  CONTINUA ...»

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