È una notizia annunciata. Ma quando François Mitterrand se ne va a 79 anni, l'8 gennaio 1996, è come se un sipario cadesse di schianto. E la Francia, anche quella agnostica, piange lacrime vere.
La rivincita di un perdente
Il grande seduttore che riuscirà ad affascinare la Francia nasce a Jarnac, nella Charente, il 26 ottobre 1916, quarto di otto fratelli, in una famiglia piccolo borghese. Militante di destra, legato al regime di Vichy, passato poi, nel '42, alla resistenza, Mitterrand debutta in politica nel '46 con la sinistra. Un anno dopo, trentunenne, è il più giovane ministro di Francia. L'ascesa è rapida ma è accompagnata dalla fama di perdente. Battuto nelle presidenziali del '65 da De Gaulle e in quelle del '74 da Giscard d'Estaing, l'avvocato socialista della Charente coglie al volo l'ultima stella, prendendosi la rivincita sull'aristocratica suberbia di Giscard il 10 maggio 1981 e diventando presidente della Repubblica. Uomo del passato percepito come simbolo del futuro, perfetta sintesi interclassista fra borghesia e «canaille», vivrà da monarca repubblicano per 14 anni e conoscerà fama, gloria, potere e sofferenza.
Il monarca socialista
La sua è la stagione di un uomo di mondo e di potere che sa impersonare la Francia, perennemente uno e doppio, un'anima e il suo contrario, la doppia coscienza descritta da Baudelaire. Napoleone e Gavroche, conservatore e rivoluzionario, coraggioso e calcolatore, blasfemo e figlio del buon Dio, il Mazarino dell'Eliseo insegna alla sinistra l'arte di vincere, cavalca i comunisti e poi li riduce in polvere, pratica un riformismo moderato condendolo con un pizzico di massimalismo mediterraneo e fa digerire ai francesi l'Europa. Preceduto da una fama pesante, mescola scaltrezza, duttilità, cinismo, capacità di intrigo, temperamento rinascimentale. Impasta spregiudicatezza e slanci lirici, da «florentin» a due facce: una astuta, machiavellica, quella dei complotti, l'altra bucolica, quella delle passeggiate nei boschi e delle notti curvo nello studio a scrivere poesie d'amore.
L'arte della politica
Fa della politica un'arte e della vita un'avventura. Occhi di velluto, mandorlati, lineamenti armoniosi, sorriso prelatizio, è il socialista più affascinante del mondo. Sovrano capriccioso, ombroso, narcisista, prepotente, nepotista, rappresenta il potere. E lo stile. «Le style c'est tout», e il padrone dell'Eliseo si porterà addosso le insegne della morte con la stessa classe con cui aveva portato quelle dello Stato. Conclude il suo ultimo mandato nel dolore. Lotta contro la malattia. Vive sotto i riflettori una lunga agonia. Prima di morire si intrattiene con Jean Guitton sul mistero della vita e si interroga sull'aldilà.
La morte
È stato padrone della Francia, non riesce a esserlo del tempo. Ha avuto la gloria, il potere, B.B. e Kim Novak, ha cercato la fede, ha aspirato all'immortalità. Muore in un'alba fredda di gennaio, fra il rumore del metrò e la fragranza dei croissants che sale dalle boulangeries. A Parigi, nella «Patrie de l'homme»: quella di cui era stato l'immagine più vera. Ha funerali religiosi, come da disposizione scritta. Riposa nel cimitero di Jarnac, con la sua famiglia. I francesi, anche i numerosi nemici, non lo hanno dimenticato.
