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13 novembre 2002: addio a «Pepe» Schiaffino

di Marco Innocenti

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Francois Mitterrand  (foto/Ansa)

Juan Alberto Schiaffino, detto "Pepe", se ne va il 13 novembre 2002, a 77 anni. È rimasto solo e, in assenza di parenti, la notizia viene tristemente comunicata dall'impresa di pompe funebri. Con lui si spengono la sua visione classica e morbida del calcio, il dipinto di un pittore ispirato, i suoi lanci "firmati" e il suo senso della squadra. Come lui, nessuno più. "L'uomo che è venuto da lontano", cantato da Paolo Conte, non lascia eredi. Solo ricordi e una punta di nostalgia. L'applauso che il pubblico di San Siro gli dedica la domenica successiva è un omaggio all'uomo e al fuoriclasse e, per un attimo, spalanca la porta di un mondo che si era chiuso quarant'anni prima.

Il campione del mondo

Nato a Montevideo il 28 luglio 1925, con un nonno di Portofino emigrato all'inizio del secolo (Schiaffino è un cognome che batte bandiera ligure), Juan Alberto è il numero uno dell'Uruguay, calciatore immenso, mezz'ala di impostazione, leader del Penarol e regista delle nazionale "celeste". Campione del mondo nel '50, semifinalista nel '54, viene ingaggiato dal Milan per la cifra record di centomila dollari. Ha 29 anni, ma ha ancora molto da dare al calcio, con la sua classe e il suo carisma.

Il regista del Milan

Nella squadra di Nordhal, Liedholm, Grillo, Maldini e poi Altafini, Schiaffino vince tre scudetti ('55, '57, '59) e perde, nel '58 all'Heysel, la finale di Coppa dei Campioni contro il Real Madrid, dopo una partita in cui brilla di più del grande Di Stefano, confermandosi sul palcoscenico europeo il più forte interno di regia degli anni Cinquanta. Nel Milan fino al 1960, Schiaffino gioca 145 partite segnando 49 gol, orchestrando la squadra, dandole sicurezza, "vedendo" la partita, non sprecando mai un pallone, con sensibilità di tocco e innata visione geometrica del gioco. Sa fare tutto, da centrocampista universale, e legge in anticipo lo sviluppo della partita. Per anni, simbolo e perno della formazione rossonera, distribuisce il suo genio calcistico: trova la posizione d'istinto, pare avere il dono dell'ubiquità, gioca palla al piede e testa alta. Sembra muoversi in punta di piedi, come Nureyev, con quei capelli insolitamente sempre in ordine, la scriminatura a destra, il viso perfettamente sbarbato, l' "allure da gentiluomo".

Il declino

Nel '60 il Milan lancia Rivera e Schiaffino passa alla Roma, dove disputa due campionati nel ruolo di libero e vince una Coppa delle Fiere. Il declino non risparmia i fuoriclasse. L'energia delle stagioni migliori non c'è più, ma Juan Alberto insegna ai giovani a giocare la palla e a fare del calcio un'arte e un mestiere. A 37 anni chiude la carriera agonistica e ritorna nell'amato Uruguay. Gli anni passano e Juan Alberto si trasforma in un anziano signore dagli occhi tristi e il volto scavato e serio. Viene in Italia, nel '90, a Milano, ospite del Milan; Rivera lo accoglie all'aeroporto, lo festeggiano e si commuove. Forse ricorda quel Milan da leggenda di cui era stato il simbolo geniale, quel Milan con le strisce larghe rosso e nere, che, sotto la sua regia, mise in campo Buffon, Maldini, Nordhal, Liedholm, Grillo, Ricagni e Altafini.

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