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7 Dicembre 1931: tocca a Starace

di Marco Innocenti

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L'avvenimento chiave del 1931 fascista è datato 7 dicembre. Quel giorno cambia qualcosa nella storia del regime. Mussolini licenzia l'ottimo Giovanni Giuriati e a capo del Pnf mette Achille Starace, il più fascista, il "cretino obbediente", gregario servile e maestro di cerimonie di un partito destinato a diventare un elemento coreografico: il coro di un'opera che ha un solo protagonista, il tenore Benito Mussolini.

Il mastino del duce

Miscela di fedeltà e di astuzia levantina, di obbedienza assoluta e di arroganza caporalesca, di aggressività maschilista e di vanità in uniforme, Starace sta a lato del suo duce, sempre mezzo passo dietro di lui: un autentico esecutore, granitico, scattante, compreso di sé. Robusto, aggressivo, polemico, si conquista sul campo il titolo di "mastino del duce". Ha il fisico e l'indole del combattente, usa le maniere forti ed è un uomo prezioso per Mussolini, cui fa da rompighiaccio e da parafulmine. Nel pieno del vigore fisico, con i suoi 42 anni ben portati, l'ex bersagliere di Gallipoli è un uomo attivissimo, caricato a molla, onnipresente, protagonista.

Il coreografo del regime

La divisa è il suo corpo, il fascismo la sua anima. Privo del senso del ridicolo, ama i pennacchi, le aquile, i ludi sportivi e le medaglie. È l'inventore dello stile fascista, il coreografo di un regime corale e grandioso, un fascista perfetto, fanatico della disciplina e della gerarchia, il prototipo del "nuovo" italiano che Mussolini ha in testa e che non realizzerà mai.

Gli anni d'oro

I primi anni di Starace, impegnato nella fascistizzazione del Paese, sono favorevoli. È la stagione del consenso in cui il regime va sul velluto e don Achille fa la sua parte con un grande sforzo di mobilitazione. Ma gli anni d'oro passano rapidi. Dopo l'Etiopia comincia la parabola discendente: quella di Mussolini e, inevitabile, quella dell'esecutore zelante delle carnevalate in camicia nera. "Starace chi legge" si comincia a leggere sui vespasiani, e il segnale è inquietante.

Il licenziamento

Il 31 ottobre 1939 il "fedelissimo" è silurato, licenziato in tronco come una serva. Il "piccolo uomo del Sud" è l'unico capro espiatorio di quell'immenso Barnum in cui, dietro al clown, c'era il padrone del circo. Non una parola di ringraziamento per nove anni di servizio. Mussolini si libera di un uomo che non gli serve più. Starace paga l'impopolarità crescente del regime, cade in disgrazia e rientra nell'anonimato. Lo attendono gli anni delle umiliazioni e della miseria, dei ricordi amari e della disperazione.

La morte

Il 26 aprile 1945 sa morire bene, meglio di come era vissuto: una scarica di mitra in Piazzale Loreto e il grido di "viva il duce" nell'attimo in cui alza la mano per l'ultimo saluto fascista. L'uomo che aveva messo l'Italia in divisa muore in tuta, con le scarpe da ginnastica bucate. La sua morte, come tante altre in quei giorni di giustizia frettolosa, è un'inutile crudeltà del destino.

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