Lui, l'eterno seduttore, sensuale e cinico, sedotto dalla sua stessa bellezza. In un rimando specchiante e narcisistico del suo stesso fascino. E' quanto ci propone l'intelligente balletto "Don Giovanni o il gioco di Narciso" del coreografo Mauro Astolfi e della sua Spellbound Dance Company, con la drammaturgia di Riccardo Reim, spettacolo prodotto dalla Biennale Danza di Venezia dove ha debuttato. Un viaggio nell'universo femminile del «burlador de Sevilla». Delle sue conquiste vere e sognate, fra eros e meccanicità, tra fremiti amorosi e atmosfere oscure. Mortifere. Vi aleggiano il barocchismo di Tirso de Molina, De Sade e Molière, il libretto
di Lorenzo da Ponte, e naturalmente Mozart; ma anche le cupezze gotiche di Hoffmann e le melanconiche ambiguità di Bayron. Il linguaggio felicemente contaminato di Astolfi ricorda Kylian nella struttura e Cunningham nello stile, con movimenti di pura, bellissima danza. Movimenti sinuosi, felini, scattanti, dalle linee tese e perfette; dagli incastri di geometrico senso. Dove la gestualità è continua, fantasiosamente nuova, di egregia fattura compositiva ed esecutiva, grazie agli eccellenti dieci interpreti. Alcova, prigione, museo, la scena ha come elemento determinante delle teche di vetro dentro cui sono collezionate e catalogate le conquiste del grande amatore. Cadute da un albero stilizzato come frutto maturo, larve nel bozzolo, o foglie secche, le donne corteggiate simili a bambole manovrate, prenderanno vita nel gioco eccentrico di specchi che moltiplicano le gesta
del libertino. La grande superficie riflettente a più facce che campeggia centrale diventa una porta da attraversare. Rimirandosi in essa da qui entra ed esce Don Giovanni moltiplicandosi in tre figure: aspetti diversi della sua personalità, dei suoi eccessi e travestimenti. La sua collezione scritta anche coi nomi femminili su una lavagna che, cadendo, si trasformerà in letto, manifesta un insaziabile pulsione che si frantumerà nel riflesso di un uomo senza più identità. Tolte, infine, parrucche e crinoline, denudati quindi della superficie, gli interpreti danzano in un intreccio di coppie nel lento vagare dei sensi ormai stanchi, dove si avverte un'aria di morte, annunciata prima dal tuonare dei passi del padre, il cui spettro compare in cima all'albero; poi dalla celebre aria dell'opera mozartiana.
«Don Giovanni o il gioco di Narciso». Regia e coreografia Mauro Astolfi, libretto ed elaborazione drammaturgica Riccardo Reim, scene e costumi Giuseppina Maurizi, musiche originali Luca Salvadori. Al Teatro Italia di Roma fino a domenica 9.
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