Quasi non si dovrebbe vivere. Piuttosto aderire senza esuberanza all'instabilità della vita, onde evitare sorprese. Senza «modelli di prevedibilità», impeccabili trame tramanti contro i nostri corpi a scadenza e le nostre ostinate speranze.
Perché la nostra biografia, alla fine, non ci appartiene. Siamo già fantasmi sedotti e abbandonati. Che muoiono, pertanto, « come moriamo tutti: da volgari dilettanti».
E pure la pace postuma -dopo una vita intensa ed apparentemente intonsa, come un libro cui non siano ancora state tagliate le pagine- è un terno al lotto giocato tra oblio, ricordi edulcorati o rivisitazioni predatorie. Tanto più per un famoso scrittore che abbia carburato la vita di lavorio e lavoro, di amori e tradimenti.
Come E. I. Lonoff, il grande maestro di scrittura e di vita austera che ne «Lo scrittore fantasma» incoraggiava il giovane aspirante scrittore ebreo Nathan Zuckerman, noto personaggio creato dal narratore americano Philip Roth che ritorna -ormai settantunenne di chiara fama letteraria ma in pieno declino fisico-mnemonico, erede della memoria di quel maestro ormai defunto e dimenticato la cui vita è sospesa sull'orlo di un presunto segreto- nell'ultimo libro della serie che lo vede protagonista, «Il fantasma esce di scena».
Zuckerman ritorna, dunque, in libreria e nella città di New York, abbandonata undici anni prima per ritirarsi tra le montagne del New England, sfuggendo alle ripetute minacce di un sedicente gruppo internazionale antisionista. Senza alcun senso di perdita ma in un sempre più naturale training all'autoconservazione al di fuori delle luci cosmopolite e vitalizzanti della grande città e del presente come dimensione temporale in fuga verso l'imprevisto, Zuckerman ha abbandonato notizie, media, donne e ribalta. Per dedicarsi quasi esclusivamente alla scrittura, appagato dal lavoro al punto da essere tentato di non pubblicare i suoi libri. Perché nulla abbia più importanza: nemmeno il fatto di essere diventato incontinente ed impotente dopo aver subito un'operazione per un imprevisto - «E' così: il destino ti sta dietro le spalle e un giorno salta fuori e grida Buu!»- cancro alla prostata.
Ma New York ha il vizio di «risvegliare le possibilità». E come in un teatro di coincidenze e conflitti, il ritorno di Zuckerman per una visita medica si trasforma in un ritorno -immediato, critico e coinvolgente- di persone, desideri, emozioni. Tre sono gli incontri che rimescolano le carte del tempo. Quello con una coppia di giovani scrittori in fuga da Manhattan dopo il trauma dell'11 settembre, cui Zuckerman offre d'impulso la sua casa di montagna per uno scambio di residenze della durata di un anno. Jamie, texana dal fascino sicuro, risveglia nell'anziano scrittore la resa all'istinto e alla conquista, alle esigenti regole dell'attrazione che si fan beffe dell'impossibilità.
Infine Kliman, giovanotto robusto di corpo e di ambizioni, simbolo della giovinezza tout court, quella che ha sempre ragioni e ragione. Giornalista ostinatamente intenzionato a rendere giustizia a Lonoff -o a conquistare il successo sulle ceneri di un oblio- pubblicando una biografia che ne sveli il «grande segreto».
Con il suo personalissimo stile narrativo -proposizioni su proposizioni, in un flusso tragicomico che svela le potenzialità di ogni parola, aggettivo, descrizione e introspezione- Roth ritorna a sua volta ai temi che contraddistinguono la sua produzione letteraria: identità e tormenti degli ebrei e la realtà americana, qui stigmatizzata nell'uso esasperato dei cellulari per le strade, nella solitudine della comunicazione coatta, nelle elezioni del «perverso» George Bush, nelle ambizioni autoreferenziali e gossipare del giornalismo culturale.
Ed è in questo mondo avido di potenza e possibilità che Zuckerman ritorna alla vita tra gli sconfitti, giocando per un pugno di giorni sul tavolo del non più e del non ancora, incapace di rinascere «in altro modo che sulla pagina» e di difendersi «in un modo diverso dallo scomparire».
"Il fantasma esce di scena" di Philip Roth
Einaudi pagg. 226 euro 19,00
www.einaudi.it