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Libri / Lettere a nessunodi Giorgio Fontana |
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11 dicembre 2008
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"Lettere a nessuno" è il tipico libro che non si fa. Che non andrebbe fatto, che è di cattivo gusto, che stuzzica le corde sbagliate in un mondo che, si sa, è così e non va toccato nel profondo. In risposta a una lettera aperta di Nicola Lagioia (pubblicata sul "Riformista"), Moresco la mette così: "Lo sapevo, scrivendo questo libro prima di gettarmi nella conclusione di Canti del caos, che non si deve fare, che non conviene, che il mondo in cui viviamo non funziona così, che il mondo della cultura non funziona così, che persino gli scrittori — e persino adesso — pensano di avere qualcosa da perdere." Spesso, chi dice le cose in faccia e "non ha paura di niente", è nella condizione di poterselo permettere. Moresco, che si fida dopotutto e sempre della sua razionalità, va oltre. Se ne frega. In condizioni di instabilità e sommersione, o di presunta — ancorché "di nicchia" — stabilità, continua a dire la sua e raccontare quello che nessun altro racconta. Ma di cosa si tratta, quindi, per sollevare tanta polvere? «Lettere a nessuno» è un libro autobiografico diviso in due parti speculari. Nella prima, originariamente edita nel 1997 da Bollati Boringhieri, Moresco è un autore non pubblicato. Le pagine si affollano di un materiale che varia dagli appunti alle riflessioni personali fino appunto alle lettere, lettere mai spedite proprio perché considerate inutili, lettere che ora fuoriescono dal cassetto in blocco mostrando intatta la loro potenza. Di per sé, le parti più belle parte sono quelle sugli anni '70, sull'ideale collettivistico vissuto in prima persona, la militanza, la periferia, la condivisione. Ma il nucleo forte rimane l'epistolario al (e sul) sistema editoriale italiano. Moresco lamenta e constata il suo isolamento totale, l'incapacità di sfondare le porte di un mondo che appare sempre più chiuso, la tragicomica serie di rifiuti editoriali e tentativi falliti. La seconda parte del libro invece è scritta da un autore emerso, pubblicato, riconosciuto dalla critica. Eppure questo non è sufficiente a placarlo. Le sue lettere, questa volta quasi sempre recapitate, mantengono intatta la forza critica e la volontà di andare oltre le meschinità e le logiche di potere. Emergono così battaglie su carta e sulla rete, delusioni e amicizie stroncate, critiche e autocritiche. In genere, di fronte a un libro del genere, si reagisce (e si è reagito) in due modi diametralmente opposti: sdegno totale o incensazione totale. Quanto a me, cercherò di percorrere una via intermedia. "Lettere a nessuno" si impone nel panorama letterario contemporaneo come un libro unico per il suo coraggio e per la sua posizione correttiva, regolativa. Qualsiasi altro volume di accusa e svelamento impallidisce al suo confronto per statura etica. Tuttavia, non va considerato come un ideale da percorrere ad ogni costo, o una bibbia da comodino. Nonostante la buona fede dell'autore, il suo rimane comunque il prodotto di uno sforzo interpretativo personale. In altri termini: Moresco non è un martire — e non credo nemmeno vorrebbe essere considerato tale. L'altro errore è naturalmente prenderlo come un elenco di nomi giustiziati, lo sfogo di un singolo, una congerie di pettegolezzi. Niente di più errato. Difficilmente, peraltro, Moresco condanna gli individui con i quali è venuto a contatto. Registra implacabilmente, questo sì. Si sfoga, certo, e a volte tira anche conclusioni, interpreta, scava sotto la superficie del fatto. Ma non cade mai in quello che Lagioia chiama, erroneamente, la "riduzione delle persone a Merde". A mio avviso, questo libro non può essere inteso se non si considera il suo idealismo in filigrana. Un idealismo che sfiora l'ingenuità, perché deluso eppure sempre intatto, sempre incapace di "farsene una ragione". Il simbolo di chi si batte fino al calor bianco della solitudine, dell'isolamento a tutti i costi. In questo Moresco è esemplare, e il suo libro sembra necessario anche per una semplicissima ragione: perché a un certo punto qualcuno deve gridare che il re è nudo. Dunque questo libro è un grido. E da questo grido emerge un quadro preciso del mondo editoriale italiano. Tale mondo peraltro non è soltanto così: sarebbe ingiusto e fazioso considerarlo. È tuttavia anche così, e questo "anche" ha un peso specifico di grande entità. L'ansia continua per il potere e il suo accumulo, la necessità della conventicola, dello spalleggiamento, del mutamento continuo di opinioni, del presenzialismo, dell'assenza di spirito critico, della chiacchiera, del situazionismo... Abitudini che vengono ben isolate nell'idea del nessuno. Di fronte a chi si pone fuori dal sistema, in genere c'è spazio soltanto per la non risposta, per il silenzio. Ma dal libro non emerge solo questo. Riga dopo riga, le "Lettere" ci mettono di fronte a una sorta di tribunale. Veniamo invitati a considerare quanto la scrittura sia un dovere etico, una questione innanzitutto di coraggio, di responsabilità. E quanto occorra tornare, in questi tempi bui, a un luogo intatto: la letteratura nella sua dimensione più forte, più intransigente, più vera. Da nessuno, noi stessi, diventiamo qualcuno. E così, a pagina 654, Moresco può domandarsi per l'ennesima volta: "Perché il nostro compito di scrittori si dovrebbe esaurire nel dire che le cose stanno così e che quindi ci dobbiamo adattare a mangiare per sempre questa minestra così com'è?" Già. Perché? "Lettere a nessuno" di Antonio Moresco Einaudi StileLibero, pagg. 728, 22 euro
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