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Per gli storici un enigma ancora irrisolto

di Remo Cacitti

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21 Dicembre 2008

Pubblicando, nei primi anni del Novecento, la sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù, il grande esegeta Albert Schweitzer, noto anche per le sue impeccabili esecuzioni dell'opera organistica di Bach, intonava davvero la grande sinfonia funebre sulla straordinaria stagione d'indagine che, soprattutto in area tedesca e in ambito protestante, aveva impegnato per oltre un secolo il meglio della cultura filologica, storica e filosofica europee. Tutto era cominciato quando, nel 1700, Lessing, allora bibliotecario della Biblioteca palatina di Wolfenbüttel, aveva dato alle stampe il settimo frammento di un'opera anonima – ben presto però giustamente attribuita a un professore liceale di lingue orientali di Amburgo, Samuel Reimarus – dal titolo Sullo scopo di Gesù e dei suoi discepoli.
Quella apparentemente innocua correlativa, quella semplice "e", innescò un incendio destinato a divampare con sempre maggior virulenza nel mondo scientifico, ecclesiastico e accademico, le cui splendenti faville volteggiano ancor oggi, accendendo ulteriori roghi, nella ricerca biblica contemporanea. La domanda cruciale sollevata da Reimarus era sostanzialmente questa: chi può assicurarci che l'immagine di Gesù restituitaci dal Nuovo Testamento – Gesù il Messia, in greco Cristo, inteso come Figlio di Dio – corrisponda davvero alla sua identità storica – Gesù di Nazareth, uno dei tanti profeti giudei giustiziati dal potere romano–? La questione poggiava allora, come ancor oggi continua a poggiare, su tre incontrovertibili elementi: e i vangeli non sono delle fonti storiche, perché non intendono affatto restituirci una biografia di Gesù, ma vogliono proclamare la fede delle primitive comunità secondo cui il Messia è Gesù di Nazareth. Di qui, il carattere "tendenzioso" di queste fonti, preoccupate unicamente di rintracciare, dentro la storia di Gesù, i segni premonitori della sua messianicità; r lo storico si trova allora di fronte non a un personaggio storico, ma a una creazione della fede, che trova nella resurrezione il suo baricentro: come scrive Paolo di Tarso nella lettera ai Romani, se Gesù è figlio di David "secondo la carne" (nell'ambito della storia), egli viene costituito figlio di Dio "secondo lo spirito" (nell'ambito della fede) proprio al momento della resurrezione dei morti; t ma siccome la resurrezione è un evento che si sottrae a qualsiasi indagine storica (del resto, nei vangeli canonici essa non viene descritta, ma evocata dall'assenza di Gesù nella tomba), allora è legittimo – per implacabile che sia – il sospetto che la resurrezione sia un'elaborazione delle primitive comunità cristiane, che trasforma un personaggio storico in una figura mitica.
Tra Settecento e Ottocento, due sono i poli della ricerca: l'indagine sui motivi che hanno portato a elaborare nella storia del cristianesimo il passaggio dal Gesù della storia al Cristo della fede e il tentativo di ricostruirne una sindone storica a prescindere dall'ulteriore elaborazione biblico-dogmatica. Tentativo destinato al completo fallimento, perché proprio Schweitzer ha inoppugnabilmente documentato nel suo lavoro come il Gesù che emerge da queste multiformi e differenziate ricerche assomigli come «una goccia d'acqua» al ricercatore che l'ha promossa: di qui, un Gesù di volta in volta "liberale", "socialista", perfino "rivoluzionario" e via declinando. L'implosione della "recherche" provocò, lungo il Novecento, l'affermarsi, sopra tutto in ambito protestante, della convinzione che la storicità di Gesù – la sua persona, il suo messaggio, la sua attività – fosse del tutto secondaria, e comunque ininfluente, rispetto all'annunzio di fede della sua messianicità, tanto che uno dei massimi rappresentanti del novecento teologico, Rudolf Bulltmann, pose Gesù di Nazareth tra le "premesse" del Nuovo Testamento, facendo assurgere Paolo di Tarso, il primo araldo del vangelo, ad autentico fondatore del cristianesimo. Evidente il rischio gnostico di un Cristo della fede che scioglie gli ormeggi dal Gesù della storia: in questo modo si perde la specificità del messaggio, proprio perché, almeno a mio giudizio, rispetto a tutti i coevi percorsi di salvezza del bacino mediterraneo la fortuna del cristianesimo sta appunto nel nesso indissolubile tra fede e storia, tra un dio che assume la carne e la carne umana che attinge alla divinità. Ma, in buona sostanza, è oggi possibile sciogliere l'«enigma Gesù»? L'affinarsi della metodologia scientifica, dai dati linguistici a quelli sociologici, l'ampliamento delle conoscenze storiche (si pensi al rinvenimento della biblioteca di Qumran che, se nulla ci dice di Gesù e del suo movimento, molto c'informa dei contesti in cui Gesù e i suoi discepoli operarono) indubbiamente ci hanno consentito un approccio conoscitivo migliore alle vicende storiche di questo personaggio.
E tuttavia vorrei ricordare una memorabile pagina conclusiva dell'opera di Schweitzer, là dove è scolpito il ritratto di un Gesù che, finalmente liberato dalle catene della dogmatica che lo tenevano avvinto, si rianimò e iniziò un cammino dentro la storia: tra lo sconcerto generale di biblisti, filologi, storici ed ecclesiastici, Gesù tuttavia non si fermò nel nostro tempo ma, analogamente a un pendolo che, lasciato libero di oscillare, di necessità ritorna all'originario stato di quiete, così egli ritornò nel suo tempo, il tempo dell'apocalittica, "madre della teologia cristiana". Ma questo è il "tempo della fine", della vigilia dell'imminente irruzione del Regno destinato a consumare nel giudizio escatologico la storia stessa. Persuaso del fallimento storico della missione di Gesù, con tragica coerenza il grande studioso abbandonò l'insegnamento e abiurò dalla fede cristiana, riconoscendosi unicamente come un filantropo, quello che forse i più ricordano come il fondatore del lebbrosario di Lambarané, nell'Africa australe.
  CONTINUA ...»

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