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Azincourt, vittoria dell'arco inglese

di Franco Cardini

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Domenica 10 Agosto 2008

Al pari di altre battaglie celebri, come Rocroi e Waterloo, quella di Azincourt è famosa anche, forse addirittura soprattutto, per la vigilia: i fuochi del bivacco, l'umido della notte, le paure e le speranze che s'incrociano attendendo il sorgere del sole. È così che ce l'ha descritta Shakespeare in una pagina celebre dell'Enrico V. Ed è stato sempre Shakespeare a fare della battaglia di Azincourt il giorno in cui le ragionevoli previsioni si rovesciano: e alla superba irruenza dei capi francesi orgogliosi della loro cavalleria e certi della vittoria, cui Enrico V e i suoi oppongono la mesta ma virile determinazione di morire con onore, risponde l'esito sconvolgente dello scontro.

Era il venerdì 25 ottobre 1415. Il ventottenne Enrico di Lancaster – che appena asceso al trono d'Inghilterra due anni prima aveva con decisione rivendicato il diritto a cingere anche la corona di Francia – si era poi dimostrato flessibile, quasi remissivo, dichiarando di accontentarsi del rispetto della pace di Brétigny, siglata nel 1360, che comunque al sovrano inglese in quanto duca d'Aquitania riconosceva il possesso di Poitou, Guienna, Limosino e Guascogna. Soltanto dinanzi all'irrigidirsi dell'aristocrazia francese che attorniava il debole e folle re Carlo VI, Enrico - che sapeva di poter contare sull'appoggio di Giovanni Senza Paura duca di Borgogna e sulla violenza con cui le opposte fazioni stavano lacerando al Francia - salpò da Southampton l'11 agosto per approdare due giorni dopo non lontano dalla foce della Senna e tentar di stabilire una prima testa di ponte nella città di Harfleur.

L'esercito inglese era piuttosto debole: solo 250 "uomini d'arme" che combattevano a cavallo e con armatura pesante, e circa 8mila arcieri, oltre agli inservienti e alla gente incaricata di gestire le macchine da assedio. Ma Harfleur oppose un'inattesa resistenza. Ci volle un mese e mezzo per averne ragione: cadde solo il 20 settembre e in quell'umida estate la dissenteria aveva intanto decimato, a quel che pare, circa un quarto degli uomini. A quel punto, gli giunsero allarmanti notizie sul fatto che i francesi andavano organizzando un formidabile esercito: egli, che date le sue scarse forze non aveva evidentemente intenzione di far molto di più d'una puntata su Parigi o di occupare qualche altra piazzaforte sulla costa normanna, stimò più prudente adottare una strategia di difesa e d'attesa. Si diresse quindi a Nord-Est, verso Calais, che gli inglesi tenevano saldamente dal 1347: ma si trattava d'affrontare una marcia di circa 250 chilometri e il passaggio della Somme. Frattanto i francesi, sotto il comando del conestabile di Francia Carlo d'Albret, si concentravano a Rouen con una formidabile armata: circa 25mila uomini, di cui 7mila cavalieri e 15mila "uomini d'arme" a cavallo.

Era dunque evidente, per gli inglesi, che si trattava di evitare un impari scontro frontale, mentre i francesi miravano per contro a intercettare il nemico nel punto per lui più critico, il guado sulla Somme. Cercando disperatamente un passaggio fluviale non presidiato, gli inglesi furono costretti a scendere parecchio a sud, sino a Nesle: per scoprire tuttavia, una volta attraversato il fiume, che i francesi li avevano preceduti. Tuttavia il conestabile d'Albret, per quanto ben deciso a non far giungere Enrico a Calais, non aveva alcuna intenzione d'attaccare se non raggiunta la certezza della vittoria: e sapeva che ogni giorno in più indeboliva gli inglesi.

Il 24 ottobre Enrico V dette ordine ai suoi uomini di piantare le tende presso il villaggio di Maisoncelles, circa a metà strada tra Arras e Calais. Al margine meridionale d'una piana abbastanza adatta a una battaglia campale, ma stretta verso il centro dalle foreste di Azincourt, a Occidente, e di Tramcourt, a Oriente. Il grande accampamento francese era situato a meno d'un chilometro più a Nord. La notte passò in trepida attesa e in preghiera per gli inglesi mentre i francesi, consci della loro schiacciante superiorità e almeno in apparenza sicuri della vittoria, facevano baldoria.

Tuttavia, qualche elemento di dubbio doveva già essersi insinuato da entrambe le parti, dal momento che il clima era molto piovoso - il che non favoriva, soprattutto su quel pesante terreno normanno per giunta arato di recente, le cariche di cavalleria - e che il piano di battaglia dei francesi, che conosciamo grazie a un documento pervenuto fino a noi, ha un carattere tattico spiccatamente difensivo e denunzia molta preoccupazione per il massiccio schieramento di arcieri di cui il nemico disponeva.

Alla luce di ciò, è lecito anche chiedersi se davvero Enrico dette battaglia perché costretto a farlo. Senza dubbio, egli si trovava a Sud rispetto ai francesi, che risalendo da Arras lo avevano superato da Est e gli avevano tagliato la strada per Calais: se voleva proseguire verso il suo obiettivo, il re era obbligato allo scontro impari. Inoltre il suo esercito era fatto di circa 6mila uomini, quasi tutti armati alla leggera e a piedi; e si trovava di fronte una massa di combattenti oltre quattro volte più forte della sua. Ma la superiorità del nemico stava essenzialmente nella sua enorme cavalleria: ora, la pioggia aveva trasformato in un campo fangoso la pianura ai margini della quale i due eserciti erano schierati e che, a metà, si andava restringendo sino a lasciar un varco di più o meno settecento metri fra le due masse forestali che la delimitavano. La formidabile cavalleria francese, su un terreno fradicio e con un fronte così stretto su cui dispiegarsi, era pesantemente handicappata in partenza. Che il re avesse calcolato genialmente bene il luogo e il momento in cui costringere il nemico a misurarsi con lui?

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