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Napoleone a Marengo, fortuna e gioco di squadra

di Marco Gioannini

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Venerdí 15 Agosto 2008

Domenica 14 giugno 1800. All'alba tre grosse colonne di fanti, cavalieri, con al seguito pesanti cannoni trainati da cavalli e buoi, escono da Alessandria in silenzio. Rinunciano per una volta alle musiche che di solito accompagnano le marce. Indossano divise lacere dopo estenuanti settimane di combattimenti. Sono una babele di popoli e lingue: croati, magiari, boemi, veneti, lombardi e, naturalmente, austriaci, ma questi ultimi in minoranza.

L'esercito austriaco in Italia, al comando dell'anziano generale Melas e al servizio di Francesco II - ultimo imperatore del Sacro Romano Impero germanico - attraversa il fiume Bormida e si dirige verso un piccolo villaggio dove li aspetta il nemico, altrettanto stanco e male in arnese. È l'Armata di Riserva della Francia repubblicana. La guida il Primo Console, un ambizioso, spregiudicato ed emergente trentenne, Napoleone Bonaparte, il cui nome da quattro anni comincia a circolare nelle corti europee. Quel villaggio si chiama Marengo, borgo sconosciuto ma destinato a diventare un luogo del mito. Intorno alle sue case e nella piana che si estende a oriente, per un giorno intero infurierà la battaglia che accompagnerà per quindici anni le sorti d'Europa e farà la fortuna di Napoleone.

Ma facciamo un passo indietro. Nel novembre precedente, con un colpo di Stato Bonaparte aveva assunto il potere in una Francia stremata e depressa da una serie di sconfitte. Il Primo Console s'impegna subito negli affari interni: c'è da scrivere una nuova Costituzione, riorganizzare la macchina dello Stato, tamponare la cronica crisi finanziaria, sedare le ribellioni filomonarchiche. Ma c'è anche da proseguire una guerra: quella contro l'Inghilterra e l'Austria, le potenze nemiche della cosiddetta Seconda Coalizione.

Ecco il suo piano: mentre due armate francesi impegneranno gli austriaci in Germania e in Liguria, un nuovo esercito da lui guidato scenderà in Italia attraverso le Alpi, sulle retrovie del nemico.

Il 15 maggio, con poco meno di 40mila uomini, Bonaparte comincia l'attraversamento del San Bernardo ancora innevato. A fine mese è nella pianura del Po: invece di soccorrere Genova assediata, marcia su Milano e di qui, passato il Po, conquista la strategica posizione di Stradella.
Ora il Primo Console cerca con insistenza la battaglia decisiva, prendendosi i suoi rischi. Nei giorni precedenti Marengo, il timore che il nemico si rifugi a Genova sotto la protezione della flotta inglese lo induce a separare le proprie forze: un'imprudenza che rischia di costare cara, sottraendogli i 5mila soldati del generale Desaix per gran parte della battaglia decisiva. Che scoppia alle prime ore del 14 giugno.

Nella prima fase dei combattimenti, fino alle due del pomeriggio, i francesi resistono a Marengo. Gli austriaci, peraltro, ci mettono del loro, applicando con esasperante rigidità un piano di per sé non spregevole, ma che richiederebbe d'essere adattato all'evolversi delle circostanze. Nondimeno, di fronte a forze superiori, a metà pomeriggio l'Armata di Riserva è in ritirata. Gli austriaci sono così certi del successo che si disperdono nel saccheggio, rallentando l'inseguimento. Melas addirittura se ne torna ad Alessandria, senza seguire le ultime fasi. Il tempo guadagnato al mattino a caro prezzo ripaga, però, i sacrifici francesi. Nel tardo pomeriggio, giungono sul campo le truppe di Desaix. Questi, coetaneo e amico di Bonaparte, riorganizza il contrattacco davanti al borgo di San Giuliano, prendendo di sorpresa un nemico ormai troppo sicuro di sé. Un'improvvisa carica da parte degli stanchissimi cavalieri di Kellermann, poco più di duecento uomini, getta il panico fra il nemico, che fugge in Alessandria. La battaglia di Marengo è vinta.

Il giorno dopo viene firmata una convenzione: l'armata austriaca si ritirerà in Veneto, i repubblicani occuperanno il resto del Nord Italia. Dopo nuove vittorie francesi in Germania, la pace di Luneville del 1801 e quella di Amiens l'anno dopo sanciranno la fine della Seconda Coalizione. La Francia torna ad allargarsi in Europa, con Bonaparte infine ben saldo al potere.
Da quel momento e fino alla sua abdicazione nel 1814, il futuro imperatore estenderà il suo controllo sull'Italia, con enormi vantaggi economici e militari. Per la Francia e poi per l'Impero, il nostro Paese sarà la "grasse prairie" che, grazie a una progressiva modernizzazione della sua agricoltura, esporterà nell'Europa napoleonica quantità crescenti di cereali e foraggio. Che alimenterà le sempre affamate finanze francesi con i flussi delle pesanti tassazioni. Che fornirà alle nuove guerre dell'imperatore non soltanto abbondanti risorse umane, ma anche le armi e i tessuti delle sue manifatture.

Perché Bonaparte vince a Marengo? Che cosa fa differenza fra il successo e la sconfitta, in una battaglia celebrata fra i suoi trionfi più famosi, ma anche così sofferta e stentata? Certamente non una superiorità tattica o tanto meno tecnologica da parte francese (vedi schede). E dunque? A Marengo, Bonaparte vince per due ragioni. Perché ha ideato, pianificato e condotto una campagna geniale: imprevedibili e veloci, i movimenti strategici del Primo Console hanno tagliato fuori l'armata austriaca dalle proprie linee di comunicazione con le Venezie e con l'Austria. Così Melas, a corto di risorse, si trova costretto a uscire da Alessandria per cercare di forzare il blocco francese.
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