Il grande maestro amato da Van Gogh era il responsabile di una caserma di pompieri. Si mise in viaggio per il Giappone, immortalando in 4000 tavole e 120 libri la metafisica bellezza di natura, animali e persone del Sol Levante. Per la prima volta l'Italia ospita 200 opere, in mostra alla Fondazione Roma

In una straordinaria silografia policroma dal titolo Ciliegi in piena fioritura ad Arashiyama, Hiroshige (1797-1858), tra i più grandi maestri giapponesi della natura e del paesaggio, ha raffigurato due taglialegna mentre spingono dei tronchi uniti a mo' di zattera lungo il fiume Hosu per portarli in città. Mentre uno, a poppa, termina la spinta con la pertica stringendo la pipetta tra i denti, il suo compagno sta risalendo i tronchi verso prua per dare a sua volta l'impulso.

Ma nello spostarsi alza la testa e guarda i ciliegi in fiore sulle rive, ancora oggi una delle due celebri bellezze – assieme agli aceri rossi dell'autunno – di Arashiyama, la zona collinare a nord-ovest di Kyoto dove sono sorte le ville dell'aristocrazia di corte fin dai tempi dei Fujiwara (894-1185). È il momento magico in cui i petali, mossi dalla brezza, si staccano dalle piante e volano vibrando nell'aria, con un effetto struggente di tremolio, e creano una pioggia bianco-rosata di delicatezza ineffabile e lievissimo profumo; da sempre paradigma, nell'arte, nella letteratura, nella cultura, della pregnanza e transitorietà della gioventù e della bellezza e della vita stessa.

Il sentiero lungo il fiume, immerso nei ciliegi, è percorso da persone venute appositamente per la fioritura, come le due figure a destra e quella a sinistra con pipetta e bottiglia di sake, ma anche da contadini con rastrelli e gerle. Così contemplazione della natura e lavoro si fondono facendo di uomini, alberi, fiume, bellezza e fatica quotidiana un'unica realtà e rafforzando nell'osservatore la percezione di un sentimento, non di dominio, ma di appartenenza.

È da opere come questa che si rivela il lato profondo dell'arte di Hiroshige e della sua fortuna sia in Giappone sia in Occidente. È nel suo comunicare quella «vraie religion que nous enseignent ces Japonais si simples et qui vivent dans la nature comme si eux mêmes étaient des fleurs» di cui scriveva Van Gogh che delle silografie di Hiroshige faceva per suo esercizio perfino copie a olio. Il grande pittore aveva percepito dietro quei disegni, colori, paesaggi, fiori, animali, e figure umane, una concezione religiosa unitaria dell'uomo e della natura; l'espressione dello shinto la fede primigenia del Giappone mirante a conservare l'uomo in perfetto equilibrio e rapporto con l'universo di cui è parte, non padrone. Esiste perciò una costante contemplazione e compartecipazione armonica dell'uomo con i ritmi della natura e di tale armonica compartecipazione Hiroshige divenne il principale interprete nell'arte.

La sua fu una lenta formazione. La sua famiglia, gli Ando, erano samurai di basso rango responsabili di una caserma di pompieri al servizio dello shogun, la massima autorità politica e militare del Paese che governava da Tokyo, come l'imperatore regnava a Kyoto. E Hiroshige a tredici anni aveva ereditato la carica alla morte dei genitori. Certo era la garanzia di un'entrata, anche se insufficiente, ma forse ritardò la sua formazione di artista presso il maestro Utagawa Toyohiro (1773-1828) che gli diede anche il nome d'arte con cui è noto: Utagawa Hiroshige.

Che cosa indusse Hiroshige a modificare la propria esistenza e indirizzare la ricerca pittorica soprattutto verso natura e paesaggio? Che cosa spinge un artista a divenire tale? Nella mancanza pressoché totale di scritti autobiografici o teorici è l'opera che parla. E l'opera paesaggistica della sua affermazione di artista coincise con la rinuncia all'incarico amministrativo nel 1832. In quell'anno Hiroshige accompagnò, almeno in parte del viaggio, la delegazione che portava il dono annuale dello shogun di cavalli sacri all'imperatore lungo la celebre via del mare orientale, Tokaido, da Tokyo a Kyoto.

Dagli schizzi di questo viaggio sarebbe uscita l'anno dopo la serie delle Cinquantré stazioni di posta del Tokaido, il suo capolavoro che sorpassò persino il successo delle Trentasei vedute del monte Fuji di Hokusai da cui aveva tratto ispirazione. Che cosa rese e rende così straordinaria questa serie di vedute? Anche se i fogli non sono tutti della stessa qualità e forza di espressione i diversi aspetti che Hiroshige vi tratta manifestano la sua concezione unitaria dell'essere. Egli vi evoca la bellezza della natura e del paesaggio, ma anche dell'uomo che svolge le proprie attività sia inerenti al viaggiare, tema della serie, sia al lavoro e ai molteplici aspetti della vita quotidiana e nel farlo sembra condurre i diversi elementi a manifestare un'unica forza universale.

Si creano in tal modo similitudini fra natura ed esseri umani. Nella stampa Shono sotto il cui celebre temporale uomini e piante si piegano all'unisono, o in Hakone dove l'andamento del corteo shogunale, visto come macchie di colore incassate in una stretta gola, riecheggia quello dei prati e delle rocce sulla grande montagna al centro. La serie ebbe una fortuna straordinaria, fu ristampata fino alla consunzione delle matrici e Hiroshige dovette in seguito realizzarne una quarantina di altre: qualcosa come oltre duemila immagini. Divenne così l'artista di riferimento per paesaggio, immagini della natura e località celebri.

Ma c'è di più. Alla serie del Tokaido, si aggiunsero le Sessantanove stazioni di posta del Kisokaido, la via fra i monti dell'interno fra il 1838 e il 1842, le settanta Illustrazioni di luoghi celebri delle sessanta e oltre province tra il 1853 e il 1856 o le Trentasei vedute del Fuji uscite postume tra il 1858 e il 1859 per non parlare delle Cento vedute di luoghi celebri di Edo (Tokyo) iniziate nel 1856 e interrotte dalla morte. In tutto sono forse più di quattromila immagini del Giappone con cui Hiroshige contribuì in modo fondamentale ad ampliare nei giapponesi che avevano soprattutto consapevolezza dei propri feudi di appartenenza. Le sue stampe circolavano come souvenir e grazie alla forza della suggestione visiva, alle alte tirature, ai grandi numeri delle immagini e perché raggiungevano strati sempre più ampi e remoti della popolazione, contribuirono a una maggior consapevolezza nazionale.

Hiroshige trasmise questo suo messaggio di amore per la natura in un modo personale e molto giapponese rispondendo all'esigenza del tempo di creare un tipo d'arte che, come quella occidentale a cui molti aspiravano, sapesse altrettanto bene raffigurare quello che si vede, a "specchio del vero" e lo fece con una pratica spesso esercitata "en plein air".
Perciò influì tanto sull'arte occidentale dagli impressionisti all'art nouveau. Ma anche sui fotografi d'arte che primi comparvero nel Giappone e tra cui spiccano tre stranieri, due dei quali italiani: Felice Beato e Adolfo Farsari; e pure sugli architetti, come Frank Lloyd Wright che gli dedicò la prima monografica mondiale, nel 1906 all'Art Institute di Chicago.