Nonostante le dichiarazioni di obsolescenza, in Occidente – si pensi, per fare qualche esempio, alla storia degli ultimi quindici anni in Italia, in Spagna, in Polonia e negli Stati Uniti – lo spazio politico continua a polarizzarsi intorno alla destra e alla sinistra. Questa contrapposizione non trae più alimento dalle complesse costruzioni ideologiche dell'Ottocento e neppure solo dalla collocazione dei soggetti nello spazio produttivo, ma anche da questioni simboliche e culturali: e nondimeno resta efficace. Insomma, destra e sinistra sono categorie della politica moderna, ma in un qualche modo continuano ad avere senso anche in una politica largamente postmoderna come quella dell'età globale; il che significa che qualcosa delle tradizioni moderne opera anche in un contesto assai diverso da quello che le ha viste nascere. È appunto questo il problema da spiegare.
Che il cleavage destra/sinistra abbia senso solo nella modernità significa da un punto di vista storico che intorno a esso si sono disposti i contendenti impegnati nella lotta fra lo Stato e la Chiesa, e in seguito gli avversari che si sono fronteggiati nello spazio dell'economia politica. Nel primo caso il nesso oppositivo destra/sinistra descrive la lotta borghese razionalistica e individualistica contro l'autorità tradizionale, nel secondo il rovesciamento di fronte in seguito al quale il mondo borghese si dà l'obiettivo di conservare il funzionamento del capitalismo con la correlata organizzazione della sfera pubblica a base individualistico-rappresentativa, e il mondo socialista di superare quello stato di cose.
Da ciò si può costruire uno schema formale, che vede la destra e la sinistra differenziarsi secondo coordinate valoriali (differenza o uguaglianza fra gli uomini), politiche (autorità o libertà, gerarchia o autonomia), temporali (conservazione o progresso). In realtà, questo schematismo va parecchio complicato. Le tradizioni politiche di destra e sinistra non sono univoche ma contraddittorie.
È stato osservato che fra il 1789 e il 1848 si sono fatte avanti sulla scena politica le matrici delle molte destre possibili. Dapprima i controrivoluzionari cattolici, cioè la destra che sostiene il radicamento della politica in un fondamento indisponibile che la precede (la tradizione, la religione, la natura o, nei romantici, la nazione, la storia) e che deve essere conservato senza poter essere criticato dalla ragione umana, pena il crollo catastrofico dell'ordine politico; e questa è una destra coerentemente anti-individualistica e anti-capitalistica. A essa si è poi affiancata un'altra destra, per alcuni versi contrapposta, quella orleanista, che rappresenta la libera iniziativa individuale capace di produrre ricchezza per i singoli e per la società, mentre seleziona vincitori e vinti, adatti e inadatti, secondo le leggi oggettive del mercato e del successo, garantite dagli apparati legali dello Stato. È poi seguito il bonapartismo, la destra del comando politico dall'alto, del capo plebiscitario che con la sua decisione riorganizza l'intero corpo politico della nazione con mezzi extralegali e extraistituzionali.
Si tratta di destre diverse: alcune si confrontano con la modernità al suo nascere, altre invece si formano al suo interno; alcune sono economiche e altre politiche, alcune sono moderate e altre estreme. Sono però i germi di molte destre successive: che sono conservatrici, reazionarie, ma anche futuriste; autoritarie, totalitarie, ma anche liberiste e anarcoidi; statalistiche ma anche antistatalistiche. L'estrema varietà delle destre nei secoli XIX e XX – che spesso si sono alleate le une con le altre, con differenti rapporti di forza, ma che si sono anche aspramente combattute – ci mostra quindi che il loro spazio politico è a volte immobile (o solo lentamente in evoluzione), a volte del tutto instabile, a volte invece dinamico, in vorticoso progresso; alcune volte è rigidamente unitario, altre frantumato in piccole patrie. Inoltre, nelle varie modalità della politica di destra il rapporto tra politica e religione è declinato, rispettivamente, come fondazione della politica nella religione (i controrivoluzionari), come interiorizzazione spoliticizzata della religione (i liberal-conservatori), come strumentalizzazione della religione da parte della politica (le religioni politiche dei totalitarismi).
Anche rispetto allo Stato le attitudini sono assai distanti, e vanno da un vero e proprio culto per esso (la statolatria) al sospetto per la sua intrinseca laicità, che deve essere controbilanciata dall'autorità dell'Altare, al rispetto per le sue leggi in quanto portano ordine e unità mentre al contempo vi è insofferenza per quelle che intralciano o rallentano il dinamismo economico, al rovesciamento decisionistico delle sue logiche giuridiche e istituzionali, così che lo Stato rimane solo come struttura di dominio, e infine all'aperta ribellione contro le sue pretese unitarie e livellatrici, nel nome delle differenze territoriali, dei radicamenti regionali ma anche delle soggettività eccezionali. L'individuo, per le culture di destra, è poi a volte un lupo da tenere a freno con dure leggi repressive, altre volte un'inerme pecora che deve essere difesa dalle insidie di subdoli nemici, altre volte è l'eroe solitario che, solo, sa affrontare il destino. Rispetto all'economia, le destre oscillano fra uno sdegnoso rifiuto aristocratico-guerriero delle sue logiche e del suo ethos, un'adesione acritica al mercato, nuova Provvidenza in terra, e un occhiuto governo politico delle sue dinamiche; e riguardo al popolo, infine, le destre manifestano la loro intrinseca pluralità ora aborrendolo come immonda bestia rivoluzionaria, ora blandendolo come docile gregge di consumatori, ora idolatrandolo come nazione – fonte della tradizione storica oppure della razza, in senso biologico – che legittima ogni politica di potenza, ora prospettandogli il destino di essere governato dalle élite, ora contrapponendolo (è il populismo di destra) alle istituzioni legali come portatore, se guidato da capi carismatici, di una legittimità sostanziale.
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