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L'irresistibile sopravvivenza dello spazio politico

di Carlo Galli

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2 marzo 2009

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La struttura categoriale del pensiero che innerva la politica moderna consiste infatti nella centralità del nesso disordine/ordine: da una parte esiste una realtà disordinata, minacciosa, instabile, lo stato di natura, e dall'altra è necessario costruire un artificio che dia stabilità alla politica e che quindi consenta a essa di difendere e di far fiorire l'essenza del soggetto. È questa l'unica normatività che si trova nella realtà naturale, e non è sufficiente a ordinarla immediatamente: è un ideale regolativo che rende indispensabile la mediazione delle istituzioni. E anche se questo ideale può essere concepito come di origine divina, ciò che importa è che non è interpretabile né monisticamente, essendo anzi aperto al pluralismo (la natura umana si sviluppa nella piena autonomia dei molteplici soggetti), né coercitivamente (non sono concepibili istituzioni o agenzie di senso che diano della natura umana una versione obbligante).
La percezione del reale come ontologicamente instabile, e l'esigenza dell'artificio politico per far sviluppare e progredire in sicurezza la natura umana, sono i due volti del Moderno, ravvisabili da un'analisi delle costruzioni politico-intellettuali moderne. Interpellata radicalmente, la storia delle idee politiche moderne rientra in questa interpretazione epocale di cosmologia politica: la vera differenza, e al contempo la loro ragion d'essere, fra destra e sinistra sta nella duplicità originaria e strutturale del moderno discorso sull'ordine (o sui semi di ordine) e sul disordine; è la differente radicalità con cui partecipano all'uno e all'altro lato dei due lati del Moderno a fare la differenza fra destra e sinistra.
La destra è quindi definita primariamente dalla percezione dell'instabilità del reale: e questa può assumere l'aspetto del disordine naturale, dell'intrinseca nullità oppure della indeterminata plasmabilità della realtà, ma può anche essere la verità nascosta di molti motivi tipici della destra: questa infatti spesso ricorre a forme di pensiero organicistico, o si appella a un Ordine trascendente, a una Legge inesorabile, non disponibile per l'agire emancipatorio dell'umanità. Queste istanze però – e questo è l'elemento decisivo – non sono soltanto minacciose, perché non a misura d'uomo, ma anche minacciate: il roccioso e intransigente fondazionismo sostanzialistico di molte espressioni intellettuali della destra – che vuole la politica stabilmente garantita da (e funzionale a) Dio, Natura, Storia, Tradizione, Valori, Nazione, Razza, Destino, Mercato – si accompagna sempre al tema – da cui si sprigiona l'energia politica – della minaccia che qualcuno o qualcosa reca perennemente all'Ordine, che quindi è politico non tanto perché è naturale e necessario ma proprio perché è instabile e periclitante.
La destra non è sinonimo di inerzia, di conservazione, di quietismo. Il filo rosso della percezione, più o meno ossessiva, dell'instabilità del reale in quanto privo di un intrinseco elemento normativo a misura d'uomo, e quindi della sua precaria casualità pre-umana oppure della sua necessaria destinalità oltre-umana (che non è la Contingenza machiavelliana, perché il fiorentino si colloca in una «prima modernità» che sta al di qua del – e guarda oltre il – dispositivo dualistico disordine/ordine del Moderno pienamente sviluppato), è la logica profonda di una complessa fenomenologia, che vede la destra sia perseguire arcigne corazzature autoritarie dell'Ordine politico contro i suoi nemici interni e esterni; sia accettare apertamente il rischio della instabilità con l'individualismo del soggetto economico, che si affida alle logiche del mercato (la cui oggettività sempre mutevole è anch'essa un modello di fondazione instabile della politica), eventualmente da mitigare in un ordine che non può non portare dentro di sé il ricordo della realtà naturale del disordine e cercare, al più, di trasformarlo nella gerarchia (compassionevole o meno, a seconda dei casi) dei forti sui deboli, dei vincitori sui vinti, di chi ha successo sui falliti; sia infine ricorrere a quel radicale modello di instabilità che è il Nichilismo, con cui la destra afferma la inconsistenza del reale in una futuristica creatività immaginativa, o nell'illusorietà della fiction – e anche questa, nella sua festosa artificiale irresponsabilità, non è che la rimozione di un disordine sempre presente.
Che pretendano di attingere l'Originario più arcaico o che si proiettino nel Futuro più visionario, che si percepiscano come apertura a un destino di potenza o come strumento di amministrazione dell'esistente e delle sue logiche naturali, che si servano della tecnica per rinsaldare il mondo o che la rifiutino perché lo manipola troppo radicalmente, che professino i Valori più chiusi o che pratichino il nichilismo più aperto, che si manifestino nella ricerca borghese di sicurezza o nel culto fascista della morte, le politiche di destra sono segnate dall'impossibilità di realizzare nell'artificio la norma naturale dell'umanità. Il sobrio realismo della destra storica, il nobile patriottismo cristiano del gaullismo, sono state forme di transizione, frutto di emergenze storiche specifiche, di equilibri politici e economici provvisori, in cui la percezione della minaccia si è trasformata in senso del dovere pubblico, in egemonia reale: il che le rende grandi esperienze umane e intellettuali, ma ne fa anche delle forme contingenti e inattuali.
  CONTINUA ...»

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