Paese mio, ti lascio e vado via. La fuga dei talenti è una raccolta di storie di ordinaria follia. All'ultima pagina del denso racconto di Sergio Nava il lettore viene colto da un senso di frustrazione: davvero tutto ciò sta accadendo nella Repubblica che i nostri padri costituenti vollero fondata sul lavoro?
Ordinaria follia: non si trova espressione più efficace per definire la macchina infernale che getta al vento giovani risorse mentre procede in larga parte per raccomandazione, con carriere trasmesse per via ereditaria da padre in figlio, per anzianità. Assistiamo inerti nell'avvio del Terzo Millennio a una lenta marcia all'indietro che non concede spazio ai giovani bravi e tenaci.
L'Italia è un Paese per vecchi, ripete in più pagine l'autore del libro. La frase viene ribadita dai tanti io-narranti. L'assioma, preso a prestito da un recente film di successo, fotografa come meglio non si potrebbe la stagnante realtà nella quale viviamo.
Giovani: quand'è che un essere umano smette di essere tale? Nava scioglie l'interrogativo con lo spirito d'osservazione del cronista e nota quanto in breve volgere di tempo sia mutata la definizione temporale e anagrafica. Accade così che un 36enne venga definito "uomo"sui giornali di qualche tempo fa e "giovane" sulle pagine degli stessi quotidiani d'oggi. Un segno della mutata qualità della vita, del prolungamento del nostro stato felice? Purtroppo no. Piuttosto un segnale dell'indipendenza non raggiunta, della mancata affermazione sociale di individui costretti a una condizione d'adolescenza senza fine.
Nava lascia sullo sfondo quest'Italia frustrata e ci narra storie di successo, di tenacia, di voglia di farcela, ma con un retrogusto amarissimo. Eccoli, sono i giovani nati negli anni Settanta e Ottanta che, dopo avere invano cercato di far valere i tanti atout conquistati negli studi, hanno trovato fortuna all'estero. Fuggiti: mai participio fu più azzeccato per ricercatori, ingegneri, medici, imprenditori, artisti.
"Ma lei che cosa pretende?" "Beh, poi vediamo". E allora via, via dall'Italia, a prezzo di sacrifici, via per fare valere il proprio talento in Paesi "normali" che non ti chiedono di chi sei figlio, a quale partito appartieni, ma che cosa sai fare e se hai idee in testa.
Il libro di Nava procura, ed è il suo massimo pregio, un senso di smarrimento. Se non tieni il segnalibro bene in evidenza tra una pausa e l'altra della lettura hai l'impressione di aver sbagliato pagina, di essere tornato indietro, l'effetto deja vu. Quante volte l'ho letta questa storia? Sì, il 110 e lode, i master, i titoli e il giovane che viene messo alla macchina delle fotocopie nello studio perché "deve crescere". Una catena di mortificazione delle intelligenze di donne e uomini nell'età dello splendore, quando la nostra massa cerebrale è nel pieno sviluppo e produce il meglio. E noi li teniamo a bagnomaria, in attesa che maturino. Ben che vada, il loro turno verrà dopo i 40 anni, piuttosto verso i 50, quando saranno demotivati o, peggio, motivati come i loro attuali dirigenti o insegnanti.
Il giornalista Nava è uno di loro (è nato nel 1975), lo si avverte in ogni pagina, come se narrasse parte di sé. Per non cadere in contraddizione non si limita ad accendere il registratore e a lasciare che gli altri parlino. Nell'introduzione, nei capitoli sulle singole professioni come nelle conclusioni, irrobustisce il suo edificio narrativo con una mole di dati circostanziati. Che dicono una sola cosa: l'Italia è un Paese che sta negandosi speranze e futuro per una sorta di concrezione mafiosa che ammanta l'intero mercato del lavoro.
Ogni governo si presenta con piani di rientro dei cervelli, con enfatiche promesse su ricerca e scuola. Ma Nava ben ci spiega quanto tali promesse siano pannicelli e sovente nemmeno caldi. Perché i cervelli vanno fatti maturare al caldo sole d'Italia e coltivati non negando opportunità e lasciando che il merito abbia il sopravvento. Senza negare lavoro. A tutti secondo i bisogni, a ciascuno secondo le capacità. Formule tanto semplici da essere applicate in Paesi d'Europa e di altri mondi, da governi di destra e sinistra. Non dall'Italia che pure siede nel G8 tra i grandi della terra.
Nava ricorda una semplice verità: in molte nazioni la parola raccomandato esiste, la si pronuncia, ma definisce uno che volentieri si segnala per il talento. E da noi?
La fuga dei talenti
Storie di professionisti che l'Italia si è lasciata scappare
di Sergio Nava
Pagg. 360, 18 euro
San Paolo Editore