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Rita, una donna, una scienziata e il simbolo
del bisogno di conoscenza

di Elena Cattaneo

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19 aprile 2009

C'é sempre molto nella vita di una persona, moltissimo in quella di chi compie un secolo. Ma è sorprendente pensare a quanto vi sia e continui a esserci nei 100 anni di una scienziata come Rita Levi Montalcini. Due guerre, il regime fascista, le leggi razziali, la creazione di un laboratorio in casa, le prime idee costruite quasi in isolamento. La creatività e quel suo modo di diventare scienziata, giorno dopo giorno, trovano sostegno nei suoi forti convincimenti personali.
Con quale forza si sono manifestate l'integrità scientifica, la fede nel sapere, la dedizione alla conoscenza, l'assiduità nel lavoro, che hanno guidato questa donna in anni in cui al padre sarebbe forse bastato anche solo vederla "moglie". Il Cantico di una vita, raccolta di sue lettere scritte «alla cara mamma e alla cara sorella» durante gli anni americani – a partire dal '47 – permette di ripercorrere con lei quei momenti: imbarcata per gli Stati Uniti (insieme al Premio Nobel Renato Dulbecco) su una nave, il Sobiesky, ella arriva, dopo dodici giorni, nel laboratorio che avrebbe dato spazio alle sue idee.
Rita, «la scienziata italiana che fa trapianti in embrioni di pollo», come è inizialmente conosciuta nella comunità scientifica statunitense. La stessa comunità si accorge presto delle sue intuizioni rivelatorie. E Rita trasmette, nelle sue lettere, il graduale crescere delle intuizioni, le giornate spese a pensare, i dubbi, i risultati che quegli embrioni di pollo (che «danno soddisfazione» e coi quali «continuo a essere in luna di miele») le forniscono, ma che ancora molto le lasciano da capire. Nel raccontare, rivela emozioni che i ricercatori sentono sulla pelle. Vedere il «rischio del fallimento» ridursi fino a scomparire. Vedere un'idea crescere e consolidarsi, per lasciare il posto alla scoperta. Toccare il cielo: il risultato «è proprio così, come ipotizzato»... Diventare i primi al mondo a vederlo, per poi metterlo a disposizione dell'umanità.
Ma alle parole della "scienziata" si mescolano le parole della "donna" lontana che parla ai propri cari. Si preoccupa che abbiano l'impressione che stia per fare chissà quali grandi scoperte. Dice loro, di ciò che sta studiando, che si tratta «di risultati che (...) non interessano che un numero relativamente limitato di biologi». E, poche righe dopo, rivela l'entusiasmo di figlia quando dice alla propria mamma: «Se vedessi come tengo in ordine il mio appartamento, ne saresti sbalordita».
Rita ancora oggi infiamma. L'ho constatato lo scorso giugno, all'UniStem, il Centro di ricerca sulle cellule staminali dell'Università di Milano. Giunta per raccontare la sua storia di ieri e di oggi, ha avvolto l'Ateneo – più di 600 i presenti – con un'aura di vigore e fiducia. Moltissimi gli scienziati arrivati da tutta Italia, giovani e meno giovani, con gli occhi umidi, euforici nel sentire Rita parlare per 45 minuti di fila stando in piedi. Coi suoi quasi 100 anni. E lei che quasi mi ha rimproverato quando ho osato offrirle una sedia.
Chi è, cosa rappresenta, Rita? È il simbolo del bisogno di conoscenza. Un istinto innato dell'uomo, che passa attraverso il desiderio continuo di interrogarsi. Rita è il simbolo della libertà delle idee, della possibilità di vincere contro l'ignoto e le avversità. È il simbolo di chi fa crescere le proprie convinzioni per la sola forza del loro valore.
Ma le sue idee lei le ha affidate agli Stati Uniti. Non possiamo e non dobbiamo dimenticare che ha condotto le sue ricerche, quelle che l'hanno portata al premio Nobel, fuori dalla sua Italia. Intellettualmente ed economicamente dissanguata dal totalitarismo fascista e all'indomani della guerra, l'Italia non poteva offrire sostegno a ricerche scientifiche "di frontiera". Così lei si è cercata un Paese che ha saputo diventare il Paese con una grande visione e considerazione della scienza.
La vita scientifica di Rita può farci capire molto. Mentre il tempo passava e gli Stati Uniti continuavano a calamitare idee e ricercatori brillanti, l'Italia non si è adeguata. Sono in molti a sostenere che siamo uno dei pochi Paesi occidentali a non aver ancora adottato alcuni elementari procedimenti per valorizzare la ricerca scientifica e l'istruzione. Procedimenti che avrebbero fatto decollare la storia civile italiana: primo fra tutti un metodo per valutare obiettivamente la qualità dei ricercatori, degli insegnanti e delle idee da sostenere.
Così, quando Rita torna in Italia con l'intenzione di trasferirvi il suo know-how e il suo entusiasmo, riesce a contagiare coloro che sono disposti ad ascoltarla: tuttavia molti non hanno la forza di farlo. E la sua richiesta, continua, che si realizzi un reale cambiamento delle regole del sistema della ricerca, non ha ancora trovato applicazione.
Ma Rita è Rita. E così crea attorno a sé un grande universo di influenza, constatando le resistenze di certa politica, di certi organi istituzionali per la ricerca e di certa parte del sistema accademico, spesso corresponsabile della situazione e adagiato in forme di connivenza con il potere. Rita mette a disposizione le sue qualità per guardare oltre e lanciare un messaggio alle nuove generazioni e a quel mondo, l'Africa, dove ancora si consumano terribili tragedie umane.
  CONTINUA ...»

19 aprile 2009
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