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La battaglia del Rio de la Plata

di Marco Innocenti

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28 maggio 2009

È in mare dal 21 agosto 1939. Le operazioni scattano il 26 settembre. L'Admiral Graf von Spee, corazzata tedesca da 10mila tonnellate, va a caccia di naviglio alleato. È un animale da preda che imperversa nel Sud Atlantico, nell'Oceano Indiano e sulla rotta del Capo di Buona Speranza. L'obiettivo è "causare danno e disordine al traffico nemico". Il bilancio, fino al 13 dicembre, è ricco: nove mercantili eliminati per 50mila tonnellate, senza la perdita di una sola vita umana. I suoi cannoni da 280 sono temibili, il suo comandante, il capitano di vascello Hans Langsdorff, è uno degli ufficiali più preparati, ma l'arma vincente della corazzata tascabile è la sorpresa: velocità, capacità di camuffamento, rapidità di esecuzione.

Gli inglesi organizzano una caccia "a tutto mare" al corsaro tedesco. Il 13 dicembre il cacciatore braccato viene individuato e diventa preda. Tre incrociatori britannici serrano al largo del Rio de la Plata. È battaglia: uno (più potente) contro tre. La Graf von Spee colpisce duramente l'Exeter ma incassa alcuni colpi, poi attacca l'Ajax e l'Achilles, ma non li finisce. Langsdorff, ferito da due schegge, non affonda i colpi. Sembra incerto. Dà la sensazione, una volta individuato, di sentirsi condannato. Forse un comandante britannico avrebbe combattuto fino all'ultimo colpo. Langsdorff non lo fa: ha poche munizioni, 36 morti, una falla a prua sopra la linea di galleggiamento. Non rischia e sbaglia. Si sgancia e, a questo punto, i britannici hanno vinto.

La corazzata tascabile cerca e trova rifugio nel porto neutrale di Montevideo, mettendosi in trappola da sola. Ha tre giorni di tempo per riparare i danni. Gli inglesi fanno filtrare la voce che l'incrociatore da battaglia Renown e la portaerei Ark Royal (ancora lontani, in realtà) stiano sopraggiungendo. Langsdorff abbocca: potrebbe tentare di forzare il blocco giocando d'anticipo ma pare rassegnato, è scioccato dalla sconfitta subita da navi più piccole e vuole evitare un duello fatale.

Il 17 dicembre, alle 20, poco dopo il tramonto, la corazzata tedesca è squarciata da una forte esplosione e affonda lentamente in acque così poco profonde che il torrione e le sovrastrutture restano visibili. Una nave orgogliosa è ridotta a un relitto alla foce del fiume avvolta da fumo e fiamme. Un enorme rogo illumina il mare. Sarebbe un'immagine suggestiva se non fosse un dramma. Una spietata guerra di agguati e di affondamenti si chiude con una spettacolare ma malinconica "resa".

Langsdorff, comandante dalla fama di gentiluomo, si spara il 19, avvolto nella bandiera tedesca. In una tasca della sua uniforme viene trovata una lettera indirizzata al comando supremo della marina tedesca. È il suo testamento e dice, fra l'altro: "Un comandante che ha il senso dell'onore non può disgiungere il proprio destino da quello della sua nave".
"Sulla tomba del marinaio - dice una vecchia canzone - non fioriscono le rose". La marina tedesca, l'arma che meno sta a cuore al "terrestre" Hitler, non avrà fortuna nella guerra dell'Atlantico che, nonostante gli U-Boot, si concluderà con una sconfitta. Winston Churchill, rivolgendosi ai marinai dell'Exeter, dirà: "In questo grigio inverno la brillante azione del Rio de la Plata è un raggio di luce e di colore". Il contrammiraglio Ronald Hopwood, il vincitore di una battaglia combattuta a metà, dedicherà un ricordo ai suoi uomini: "La nostra è la vittoria dei Capitani coraggiosi, il cui animo è opera di Dio".

Geoffrey Bennett, storico navale inglese, fa vivere ai suoi lettori in "La battaglia del Rio de la Plata" una tragedia in presa diretta. Il suo è un libro tecnico ma con una componente di umanità. Merita attenzione da parte di chi è sensibile al brivido della guerra sul mare.

Geoffrey Bennett, "La battaglia del Rio de la Plata", Mursia, Milano, pagg. 102, € 10,00

28 maggio 2009
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