Magica notte fiorentina per Keith Jarrett, Gary Peacock e Jack DeJohnette. In un Teatro Comunale gremito, la sera di lunedì 12 tornava, venti anni dopo, una leggenda del jazz. Nell'unica tappa del suo tour italiano oltre a Mantova, dove Jarrett col suo trio si esibirà il 16 nella monumentale cornice di Palazzo Te. Nato nel 1983 dall'incontro fra Jarrett e un dio del contrabbasso come Gary Peacock e il batterista Jack DeJohnette, "best drummer" per 13 anni consecutivi per i lettori di «Downbeat Magazine», il trio ha riscritto la storia del jazz degli ultimi venti anni.
Dopo una vigilia al cardiopalma (Jarrett voleva rientrare nella sua casa di Nizza dopo il concerto, ma non c'erano voli e rischiava di saltare tutto), non poteva esserci anteprima migliore per il festival dell'estate fiorentina Live-on (www.live-on.it). Celebre per la sua ipersensibilità, il pianista ha tenuto tutti con il fiato sospeso. Invece, complice forse l'abbondante Brunello che era stato servito per cena, Jarrett, Peacock e DeJohnette si sono dati senza riserve, felici e sorridenti. Due set, di cui il primo ha toccato spesso la vetta del capolavoro. «This is the art of the trio», dice Jarrett al microfono. Come dargli torto? Prima parte più classica, seconda più accademica, ben tre bis, Jarrett che scherza col pubblico, si scusa di non parlare italiano. Proprio una serata evento. Atmosfera incantata fin dall'inizio, con l'assolo di cristallina purezza del pianoforte di un genio, uno dei due Steinway che Jarret aveva preteso prima di decidere su quale esibirsi. Standard dopo standard (c'era pure il Fred Bongusto di «Spaghetti, pollo, insalatina»), si inanellano cascate di note, stupendo ogni volta per pulizia formale, essenzialità, intensità, oltre che per la freschezza dell'invenzione di questi tre giovanotti sessantenni. Parte il primo bis, «Tonight» da «West Side Story» di Bernstein. A furor di popolo è estorto l'incantato, trepido terzo bis, con echi di ninna nanna che mandano tutti a casa in una nuvola di pura poesia. Grazie Keith!