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«C'era una volta i soldi»: in un documentario lo scudo fiscale alla ticinese

di Boris Sollazzo

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4 ottobre 2009


Si fa tanto parlare di rientro di capitali, di scudi fiscali e colore e odore del denaro, i bravi detective nel cinema spesso dicono (o si sentono dire) "segui la pista dei soldi". Bene, Mohammed Soudani e Lorenzo Buccella lo hanno fatto, nel documentario C'era una volta i soldi che domenica 4 ottobre aprirà la prima serata della La1- Rsi Tv svizzera e "Storie", trasmissione condotta da Maurizio Canetta. Soudani alla macchina da presa, il poliedrico Buccella (è anche autore teatrale, sceneggiatore, critico cinematografico, solo per citare alcuni dei suoi tanti talenti) ha pensato il film, raccolto le interviste, dato voce e testi ai burattini che ci fanno da Virgilio in questo viaggio antropologico in una delle regioni più ricche d'Europa.

Ecco la prima intuizione di un lavoro bello e sorprendente: se già è notevole e lodevole che la Svizzera si guardi dentro, che porti nell'orario televisivo più ambito un genere "difficile" come il documentario, che tratti un tema scabroso (il denaro) per il pubblico elvetico, la qualità e l'audacia soprattutto artistica di questi 50 minuti sono evidenti fin dalla scelta coraggiosa di far aprire e chiudere l'opera da marionette profondamente espressive che con ironia e frasi etiche e poetiche ci mostrano l'altro lato del capitalismo. Che qui non viene aggredito materialmente e moralmente, come fa Michael Moore in Capitalism: a love story, ma studiato nell'antropologia di una regione che ha vissuto le sue ombre per illuminarsi di una ricchezza e di un benessere che ne hanno cambiato la fisionomia, il tenore di vita, i più maligni direbbero la ragione sociale.

Con un bel montaggio, materiale di repertorio unico e interviste scelte scopriamo il rapporto che la cassaforte d'Europa ha avuto con il denaro: quello segreto e protetto, quello trasferito illegalmente (dagli spalloni con le mitiche bricolle, corrieri poi divenuti ricchissimi tanto da creare una classe di imprenditori con mezzi straordinari e strategie naif), quello che ha portato progresso, quello speculato. Dalle parole di uno spallone che accetta di parlare in un frammento in bianco e nero e, per non farsi riconoscere, si copre il viso con una mano da cui spia la telecamera con curiosità ai due fratelli che si rammaricano dell'arrivo della mafia che ha rovinato tutto, dal proprietario di un locale che parla del passato come di un periodo contraddistinto "da un contrabbando sano e onesto" al doganiere che dice, con un sorriso tranquillo, "che la Finanza lavorava per la Finanza, e noi lavoravamo per le nostre finanze".
Buccella e Soudani sono spettatori interessati e senza pregiudizi, anche quando parlano con Crameri, direttore UBS, quello che in un film banale e schematico sarebbe "il cattivo". Lo ascoltano, gli lasciano spazio, la sua analisi è un altro tassello di un puzzle che ritrae un mondo e un modo di vivere il denaro.

Così se la parte iniziale diverte e incalza con le sue testimonianze tanto oneste nella loro disonestà (di quei "professionisti" del denaro da sconfinare ci piace la quotidianità: la moglie che aiuta la domenica, i soldi a sacchi, il "museo" delle attrezzature di lavoro, con la bricolla più efficace mostrata con orgoglio) e con immagini davvero ben trovate, la seconda parte sconta una prudenza maggiore dei contemporanei, ma trova nei proprietari di piccole attività commerciali, il lato più umano del capitalismo attuale, la voglia di un'economia solida basata sui prodotti e sul lavoro, non sulla speculazione, "sul fare il denaro col denaro", un ritorno al passato per un futuro migliore, contro un presente di crisi. Un lavoro che si inserisce in quella nobile arte dell'analisi antropologica, sociale, politica ed economica che solo saggi-capolavoro come "La Svizzera lava più bianco" di Jean Ziegler o "Uccideranno il capitalismo" di Claude Bébéar.
Un bel documentario, ironico e acuto; una dimostrazione di come si possa essere autocritici senza essere definiti poco patrioti e di come si possa guardare al proprio paese indagandolo umanamente, prima che razionalmente. Senza demoni, né demonizzazioni. E scusate se è poco.

4 ottobre 2009
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