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Stauffenberg: mio padre eroe del futuro

di Franz Ludwig Schenk Graf von Stauffenberg

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17 maggio 2009

Graf v. Stauffenberg con i figli Franz Ludwig e Heimeran (Ullstein Bild)Ci ricordiamo di una luce nella nostra storia, uno strano improvviso scintillio in un'epoca di hybris, crudeltà, fallimento e putrefazione. Certo noi sappiamo che solo pochi, troppo pochi, ebbero la forza di isolarsi opponendosi e si distinsero scegliendo di resistere alla rovina del pericolo che paralizza.
Ma ci furono. E agirono "coûte que coûte", consapevoli della spietata superiorità dell'apparato di potere e dei suoi sgherri, consapevoli di rischiare il fallimento e la proscrizione. Soli. «L'attentato deve aver luogo..., ormai non è più importante il fine pratico, quanto il fatto che, di fronte al mondo e alla storia, il movimento di resistenza tedesco ha osato la mossa decisiva». Queste furono le parole che Henning von Tresckow fece pervenire al suo successore a Berlino.

Questo appello esorta tutti noi ancora oggi: non attraverso la sua poetica eleganza verbale, bensì con la forza del suo messaggio, che va ben oltre la fine degli Hitler e degli Himmler, dei Göring e dei Freisler. Di sicuro quella frase allora trovò pochi ascoltatori. Era diretta contro molti potenti, contro la maggioranza dei sedotti, dei conformisti, degli ubbidienti, e questo certo non solo in Germania. Contro loro tutti Tresckow ricordò il vero luogo del nostro popolo, la nostra autentica patria che dura nel tempo.
A me questo messaggio mostrò – e dimostrò – la strada verso l'Europa. Indicò che il nostro destino era quello di una comunità sotto il segno della libertà, del diritto e della dignità umana, senza confini. Questa patria i nazionalsocialisti e altri ideologi convinti di insegnarci la salvezza ce l'avrebbero negata per sempre, e lo stesso gli sciovinisti nazionali. Questa patria non sarebbe mai stata vista da una servile codardia.

Il 20 luglio non è un avvenimento di nostalgia rivolto al passato, ma una vivente esortazione al futuro. Certo: sessantacinque anni sono un tempo molto lungo, e oggi i nostri problemi ci appaiono tutt'altro rispetto agli sconvolgimenti di allora. Ma la nostra storia è molto più viva (e spesso più inesorabile) di quanto ammettiamo noi creature che viviamo alla giornata nell'affanno mediatico. Dalle nostre radici noi traiamo vita e i nostri modelli d'azione crescono dall'esperienza di generazioni. Oggi noi non potremmo meravigliarci delle nostre antiche cattedrali, venerare Goethe, ammirare Beethoven e amare i nostri paesaggi se rimuovessimo il – più giovane – male che pesa sul nostro divenire.
Così la memoria della resistenza ci obbliga immancabilmente a riflettere sull'avvenimento terribile che ebbe inizio in Germania, che partì dalla Germania. Accadde nel "nostro" nome. Ma quando noi, tormentati in questa maniera, ci accingiamo a ricordare la resistenza, è forse sufficiente festeggiare l'anniversario in maniera degna d'onore, con solennità e riconoscenza?

Con lo sguardo volto all'indietro ci chiediamo cosa sia rimasto del 20 luglio 1944. Cosa vive ancor oggi di mio padre? Cosa della morte di Beck e Tresckow, di Leber e Goerdeler? Cosa ci tocca di Yorck e Bonhoefer, Elser e Moltke, di Scholl e Delp? Solo un'eredità vivente giustifica il ricordo. Solo quando tutti avranno imparato, solo quando noi tutti avremo imparato dall'apocalittico cammino di errori del "regno millenario", solo allora un simile terribile fatto non si ripeterà, qui o altrove. Non è un lontano passato a chiederci quale eredità vi è in noi, bensì l'attuale presente. Ma le risposte non le danno gli storici o gli ultimi testimoni del tempo, bensì noi, cittadini maggiorenni dell'Europa.
I padri della Costituzione fondarono per noi un nuovo Stato. Essi innalzarono dai milioni di morti dell'arbitrio e dalle macerie di guerra una ricchezza sconosciuta ai loro predecessori di Weimar. Avevano fatto esperienza di ciò che prima era ritenuto inconcepibile: sapevano cosa fanno gli uomini agli uomini quando il diritto non è più vincolante. E sapevano come il rispettoso darsi del tu può orribilmente degradare in asservimento e liquidazione.

La nostra «democrazia in grado di difendersi» andava bene. La libertà rinacque, fiorì il benessere, lo stato di diritto si rafforzò. Più tardi, quando vennero il Muro e il filo spinato, i nostri connazionali scelsero senza esitare la libertà anziché il paradiso creato dai funzionari dell'interdizione. Così il nostro stato di diritto, al sicuro in Europa, mantenne al proprio interno la pace e la democrazia. Noi quindi viviamo in una casa sicura e ben custodita? Certamente, ma fino a che splende il sole e il tempo è calmo.
Ma oggi non è più così. Il vento soffia gelido, talvolta impetuoso, da almeno quindici anni. Innanzi tutto in ambito economico, ma presto toccherà l'assistenza sociale, poi l'ordine politico. All'inizio a soffrire è il prossimo che non vediamo: disoccupati a est, fanciulli senza futuro, famiglie impoverite. Sempre meno cittadini vanno a votare. E tra quelli che lo fanno sempre più votano per gli avvocati testamentari di Honecker. In Turingia ormai uno su quattro. All'antica ammirazione per la nostra grande Repubblica si accompagnano prima la delusione, poi lo scherno, il disprezzo e la rabbia.

  CONTINUA ...»

17 maggio 2009
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