Chi può essere considerato l'erede di un grande, ingombrante, maestro del Novecento come Claude Lévi-Strauss? Nessuno, se si pensa che le sue opere appartengono a una stagione intellettuale che ha fatto il suo tempo. Ma non è un caso che la prima edizione del premio Lévi-Strauss, nel giugno scorso, a Parigi, sia stata assegnata a uno scienziato cognitivo, suo allievo dissenziente, Dan Sperber, cui abbiamo chiesto di scrivere un ritratto post mortem dell'antropologo francese.
La sua ricerca «intreccia antropologia, filosofia, linguistica e psicologia cognitiva», ed è assai più in linea con il nucleo profondo del pensiero di Lèvi-Strauss di tanta recente produzione antropologica post-moderna, post-coloniale e post-culturale. Quella di Lévi-Strauss era una concezione "forte" della natura umana e degli universali culturali di cui questa natura è costituita. Secondo Sperber il metodo strutturalista per rintracciare questi universali è superato, ma ciò non toglie nulla al progetto "forte" di comprendere l'essere umano nella sua interezza e su "larga scala", servendosi dell'etnologia come degli esperimenti di laboratorio, adottando un approccio darwiniano e facendo tesoro della lezione di Chomsky in ambito linguistico e di altri ambiti degli studi scientifici sulla cognizione umana. Un percorso simile è quello di Scott Atran, antropologo, allievo di Margaret Mead che, come racconta nell'articolo pubblicato qui sotto, nel 1974 arrivò a Parigi per organizzare il convegno di Royaumont con i grandi della psicologia, della biologia e dell'antropologia. Divenne studente di Sperber e dunque «antropologo cognitivo».
Il suo primo libro, Cognitive Foundations of Natural History, è un tentativo di spiegare i vincoli cognitivi sulle tassonomie naturali. Ha lavorato con Jared Diamond sulla botanica dei Maya e con lo psicologo Douglas Medin sulle categorizzazioni. Ma il lavoro che l'ha reso più celebre è quello sui terroristi islamici. Scrive Op-Eds su «New York Times» ed è consulente alla Casa bianca per il terrorismo. Ha fatto veri e propri esperimenti nelle prigioni israeliane per capire come ragionano i terroristi. Il suo libro più famoso è quello più recente sull'Evoluzione della Religione: In Gods We Trust, Oxford 2005). L'articolo che qui pubblichiamo è uno spassoso resoconto di quel primo incontro con Lévi-Strauss.