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Mostra / William Kentridge, Le strade della Città

di Riccarda Mandrini

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10 dicembre 2009
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Le opere di William Kentridge partono sempre da un idea di geografia: umana, della memoria, del territorio, politica. Nato a Johannesburg nel 1955, l'artista sin dall'inizio ha messo in scena il Sud Africa, la sua terra, quella parte di mondo del quale conosce la natura e la cultura.

Dopo una intensa esperienza in teatro, nel'89 si dedicò alla realizzazione di una serie di filmati in cui narrava l'incompiuta modernità del suo paese attraverso le vicende di Soho Eckstein e Felix Teitlebaum. Soho incarnava la figura dell'uomo d'affari, un personaggio triste e alienato, molto più simile ai caracters della letteratura dei primi del Novecento che all'immagine dello spregiudicato uomo d'affari. Rappresentato vestito con il consueto abito a righe e spesso sommerso dal nastro della calcolatrice, Soho assisteva con atteggiamento abulico e lo sguardo perso nel vuoto alla nascita di una delle tante città minerarie Sudafricane. Felix raffigurava l'altra faccia della rassegnazione, nei filmati è mostrato sovente nudo e di spalle, non lotta contro nulla perché non sa come lottare, mentre sullo sfondo appariva la durissima condizione politica e la segregazione razziale in Sud Africa.

Proposti in Italia nel 1999 alla 48esima Biennale di Venezia, la prima delle due curate da Harald Szeemann, i lavori di Kentridge colpirono sia per la semplicità e l'efficacia della narrazione, sia per la tecnica accattivante basata sulla creazione di una serie di disegni realizzati a carboncino che venivano di volta in volta cancellati e sulle tracce lasciate dalle cancellature prendeva forma l'immagine successiva. E' interessante notare come l'autore proceda seguendo un percorso filologico: racconta parte la storia recente dello stato africano basandosi non sulla rappresentazione diretta dei fatti, ma sulle tensioni psicologiche vissute dai personaggi in riferimento ai fatti stessi.

Kentridge nelle differenti narrazioni ha sempre privilegiato il contesto locale e ha voluto esplorare quella zona d'incertezza e di fragilità che appartiene alla natura umana, senza limiti geografici. Nelle nuove opere il contesto locale ha però lasciato spazio a una visione più ampia e definita del disagio sociale. Questo atteggiamento era già emerso nella serie dei Porters – esposti al Philadelphia Museum of Art, nel 2008 – in cui proponeva le immagini abbozzate di migranti, ritratti su pagine prese a prestito da antichi e preziosi atlanti.
L'artista aveva voluto mettere in scena un tema vigoroso, sviluppato già nel 2006 dal curatore nigeriano Okwui Enwezor, alla Biennale di Siviglia, che titolò emblematicamente Unhomely, Phantom Scenes in a Global Society. E se Enwezor chiedeva al pubblico colto della Biennale, di immaginare anche solo per un giorno la straziante condizione di Unhomely, l'artista nella rassegna in corso del Museo di Capodimonte a Napoli e allestita nel Salone degli Arazzi, ridisegna a partire dalla cartografia dell'antico regno di Napoli, i nuovi percorsi migratori su una serie di arazzi tessuti artigianalmente dalle donne del laboratorio di Margareth Stephens a Johannesburg.

Kentridge ripropone ancora una volta una profonda riflessione sulla storia dell'uomo, quella che stiamo vivendo in questo momento:" il 21esimo secolo sarà il secolo delle grandi migrazioni". Faceva notare il filosofo e urbanista francese Paul Virilio, in una recente conferenza, "nel 2008, 36 milioni di persone hanno dovuto spostarsi. Un miliardo lo faranno nei prossimi cinquant'anni. Le antiche società vivevano nei territori definiti ‘Terre Natale', oggi esse vanno alla deriva per ragioni climatiche, di delocalizzazione del lavoro, di conflitti sociali. E' tutta la storia che si rimette in marcia".

William Kentridge, Le strade della Città.
Museo di Capodimonte,
via Milano, 2 Napoli,
tel.081 7499111
fino al 11 aprile 2010

10 dicembre 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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