Mortiammazzati, misteri, azione, orrore, tensione, scazzottate, nebbie, esplosioni, tuffi nel Tamigi, riti satanici, congiure di potere… C'è di tutto, e anche un po' di più, in Sherlock Holmes (Usa, 2009, 128'). Guy Ritchie non si nega nulla. La sua misura è la dismisura, il suo scopo è la meraviglia. Qua e la il risultato è anche godibile, a patto che ci si dimentichi del personaggio creato da sir Arthur Conan Doyle nel 1887, e del suo coinquilino di Baker Street, al civico 221 B. Anche il dottor John Watson, appunto, è fuori misura rispetto al medico che affiancava l'investigatore già nel primo romanzo (Uno studio in rosso). Se quello era un borghese vittoriano affidabile ma non proprio geniale, questo (Jude Law) resta certo un borghese, ma atletico e manesco, e più d'una volta capace di anticipare le conclusioni logico-scientifiche di Holmes (Robert Downey Jr., con una bella faccia di bronzo). La stessa acutezza deduttiva, e la stessa destrezza fisica, ha la fascinosa e ingannatrice Irene Adler (Rachel McAdams), la sola donna di cui Holmes si sia mai invaghito. Così sostiene Watson, certo con cognizione di causa.
Scritto da un piccolo stuolo di soggettisti e sceneggiatori – Michael Robert Johnson, Anthony Peckham, Simon Kinberg e Lionel Wigram –, questo Sherlock Holmes vitaminizzato racconta di fatti oscuri e demoniaci, che spargono paura fin nel più oscuro dei vicoli di Londra. Nero nei capelli e nel cuore almeno quanto è nero nel cognome, un tale lord Blackwood (Mark Strong, con piglio vagamente mussoliniano) si diletta dell'ammazzamento di giovani e graziose fanciulle. Bisogna capirlo. Quando mai s'è visto un satanista o anche solo un omicida seriale cinematografico accanirsi su qualcosa di meno appetibile? In ogni caso, Blackwood viene catturato dalla coppia Holmes & Watson, e in subordine dall'ispettore Lestrade (Eddie Marsan), proprio mentre sta per collezionare la sesta vittima. Il capestro fa poi giustizia. O così sembra, finché qualcuno, due o tre mesi dopo, non lo vede uscir dalla tomba, lasciandosi risolutamente alle spalle il cancello del cimitero.
E Holmes? Che cosa ha fatto Holmes, nel frattempo? Se si trattasse dell'Holmes letterario, dovremmo dire che ha avuto un periodo di studio e riflessione. Ossia: che ha passato quei due o tre mesi in compagnia della sua accidia, del suo violino e della sua "soluzione sette percento" (The Seven per-Cent Solution: così si intitola il film che nel 1976 Herbert Ross dedica alla sua dipendenza dall'eroina, traendolo da un bel romanzo di Nicholas Meyer). Poiché si tratta dell'Holmes di Ritchie, dobbiamo aggiungere che ha ridotto la sua abitazione a un letamaio, e i suoi vestiti a stracci bisunti. Ma non ha perso la sua lucidità analitica, e ancor meno la sua faccia di bronzo. Ne è prova quel che riesce a "dedurre" (e soprattutto a dire) di imbarazzante e inopportuno solo guardando la bionda Mary Morstan (Kelly Reilly), che l'amico Watson vorrebbe inopinatamente sposare, abbandonandolo alla sua solitudine. Quanto a noi, ne "deduciamo" che se tra i due – fra l'investigatore e il medico – non c'è del tenero, c'è almeno qualcosa che gli va molto vicino. A prescindere dal fatto della fascinosa e ingannatrice Irene Adler, ovviamente.
Ma torniamo a cose più virili. In particolare, torniamo a Blackwood. Reduce dall'oltretomba, il lord nero ha le idee chiare, per quanto poche. Anzi, ne ha una sola, chiarissima: conquistare il mondo, partendo dal Parlamento di Her Majesty. Allo scopo, tesse la sua tela magica e diabolica con l'aiuto di tale Reordan (Oran Gurel), una sorta di scienziato pazzo che viene poi trovato cadavere da Holmes nella cassa che lo stesso satanista ha provveduto a lasciar vacante, con l'eccezione di qualche verme. Insomma, la sceneggiatura non si fa mancare alcunché. E infatti l'investigatore e il suo sodale ne passano d'ogni colore: si scazzottano con un francese grande e grosso quanto una palazzina (ma con un gran senso dell'umorismo), sfuggono per un pelo alla sconsigliabile "lucidità analitica" d'una sega a nastro, saltano per aria con l'aiuto di non si sa quale diabolico esplosivo… L'elenco potrebbe continuare, ma veniamo al sodo: Blackwood sta per realizzare il suo sogno di potere totalitario ante litteram. Per fermarlo, Holmes dovrà starsene a penzoloni sul Tower Bridge ancora in costruzione. E non gli va poi tanto male, dal momento che ci sta con la fascinosa e ingannatrice Irene Adler. Ma poi la lascia al suo destino, a conforto del dottor Watson. In ogni caso, da lassù Ritchie guarda anche lui giù, verso la platea: c'è chi si diverte, a parte (forse) sir Arthur Conan Doyle buonanima.