Internet riuscirà a rimettere in sesto il giornalismo o lo farà naufragare sotto i colpi di Grillo e Dagospia? Il giornalismo non resisterà né naufragherà. Apprenderà dalla Rete e cambierà.
Vanno fatti molti passi in termini di infrastrutture (banda larga, ad esempio), registriamo il ritardo della politica, e ammettiamo due cose. Primo: in Italia, Beppe Grillo ha scoperto e sdoganato un uso della Rete come grido della verità in faccia al potere, in base ai concetti di verità che egli si dà. Secondo: i titoli di Dagospia non aiutano a capire cosa succede nell'Afpak, ma raccontano un pezzo d'Italia. Con Matteo Scurati ho scritto un anno fa su Limes: «Dove c'erano gli uffici studi, ora c'è Dagospia». Gli uffici esistono ancora e, grazie a Ssrn, sono più connessi. In Italia si pensano cose interessanti, ma ci sono anche le foto dei cagnolini impellicciati a Cortina.
Grillo, Dagospia e i gruppi "Odio x" su Facebook fanno parte della Rete perché rispondono ad alcuni bisogni. Il mondo è una piazza scalmanata, ma lo stato della Rete non è il problema dell'Italia. La sua Babele contiene energie positive. Internazionale ha più di 40mila fan su Facebook. Esiste Nexa. Uno degli elementi più rilevanti della politica italiana del 2009 è che un certo Filippo Rossi siede alla destra (ovviamente) di Scalfari, grazie al webmagazine finiano che ha prodotto buoni contenuti con una strategia virale. La massa critica della Rete può dare autorevolezza alla curiosità: negli Usa sono usciti Andrew Sullivan e Matt Yglesias; Bloggingheads.tv è un altro esempio da imitare. La massa critica della Rete porta aggregazione e reputazione: i siti degli economisti lo dimostrano. La qualità non morirà mai.
Lucio Caracciolo e Gian Arturo Ferrari non scompariranno, ma è lecito prevedere che nelle redazioni e nelle case editrici vi sarà più spazio per figure capaci di interpretare la transizione, allenate a connettere qualità e curiosità. Alcuni editori e imprenditori decidono di investirci. Altri non lo fanno, si riconvertiranno o saranno spartiti da realtà più dinamiche.
La curiosità non è un vaffa. L'odio ferma il flusso delle informazioni, o riduce l'informazione a «taci per sempre, tu che dieci anni fa hai scritto quella frase». La curiosità è un processo incessante di apprendimento, di tutti gli attori in gioco, che si fonda anche sul sistema educativo. Gli editori devono investire. Gli attori della Rete devono avere una mentalità imprenditoriale nell'attenzione per gli utenti e in un rapporto di apprendimento e integrazione (anche economica) nei confronti dei media tradizionali.
Se Grillo ci surclassa, svegliamoci, evitando di barattare la diffusione con gli attacchi personali. Alcuni siti sono potenziali start up: offrono bassi costi, informazioni in tempo reale, gestiscono i flussi sociali della Rete. Ci sono tanti Raffaele Mauro che elaborano decine di business plan, alla fine vincono il concorso Accade domani di Italia Futura, e usano la Rete per contribuire alla ricostruzione dell'economia dell'Abruzzo. Allo stesso tempo, i big usano la Rete per testarsi: Pier Luigi Celli prima dice di emigrare ai ragazzi di Dillinger, poi lo ripete a suo figlio sulle pagine di Repubblica. Dalla reazione di Dillinger, Celli sa già che farà chiasso, perciò passa sul canale tradizionale, per poi tornare su Dillinger.
Con gli amici dello Spazio della Politica leggiamo la classifica dei pensatori globali di Foreign Policy, riteniamo che si possa fare meglio, ne facciamo una, la pubblichiamo perché l'Italia dia più importanza a Justin Yifu Lin (numero 1 della nostra classifica). Il vicepresidente della Banca mondiale non finirà su Dagospia, ma il virus della curiosità produce sempre i suoi frutti, prima o poi.