Il Giudice e il Vendicatore, due vite che s'incontrano per caso, s'intrecciano e che il destino porta a conoscersi solo nell'atto finale. Che cosa può apparentare Corsaro, il partigiano Sandokan, con Gabriele, lo smilzo e occhialuto magistrato che svolge il suo lavoro con coscienza, ma che pare più coinvolto dalle pene di una relazione senza speranza? Nulla, in apparenza. È la sorte che decide di farli incontrare nella notte di Natale. Grazie a un delitto.
Detta così, pare di entrare in un'atmosfera alla Simenon (non a caso Maigret viene citato come accompagnamento di una solitaria serata televisiva del protagonista) mentre Genova melanconica, ma di struggente bellezza, fa da sfondo e da culla all'equivoco.
Un uomo viene ucciso e tocca al pm di turno in Procura occuparsi del caso. Maledizione, pensa il nostro Gabriele, proprio quando la giornata pareva concludersi, guarda che mi capita. La vittima è un anziano portuale in pensione. Un delitto a sfondo omosessuale, gli ripetono in molti, a partire dal colonnello dei carabinieri che lavora con lui e che pure antipatico non è. L'istinto di difesa verso un debole e un emarginato, più dello scrupolo professionale, spinge il magistrato a impegnarsi, anche con metodi non ortodossi, per trovare una traccia dell'assassino, per evitare un'archiviazione che sarebbe come un altro delitto nel delitto.
L'arresto degli aggressori sembra porre fine all'inchiesta. Solo un reggente capo della procura, noioso quanto ambizioso burocrate, lo obbliga a un supplemento d'indagine. Vengono così alla luce vicende di partigiani braccati, di nazisti in fuga, di una vendetta che si dipana in oltre settant'anni e si conclude in una giornata d'aprile del 2004.
In realtà Silvano Rubino, l'autore, concede assai più al suo lettore di quanto noi facciamo in sede di presentazione. Con la tecnica di quadri diversi e di flashback, scanditi anche dall'uso di stili diversi, dal tondo al corsivo, Rubino fa parlare in prima persona il vendicatore e narra l'investigazione del giudice. Un puzzle le cui tessere si frammentano tra i monti della Liguria e Buenos Aires e che lasciamo al lettore ricomporre.
L'autore è un giornalista al suo primo romanzo. Qualche leggerezza da esordiente la si avverte in talune ingenuità verbali, nei bruschi passaggi da una prosa volutamente asciutta a un'altra più retorica e a tratti ampollosa. La crêuza (uno di quei viottoli che si arrampicano sulle colline genovesi) si fa talvolta troppo impervia.
Tuttavia Silvano Rubino ha il pregio di riconoscere l'ingenuità, tanto che affida a Giulia, protagonista di un tormentato rapporto sentimentale con Gabriele, qualche battuta felice d'autoironia che rende simpatico e meno ossessivo lo sconfinato amore per De Andrè. Come quando lei rimprovera all'amante il perenne tono triste chiedendogli: «Hai ascoltato Tutti morimmo a stento in questi giorni?» e lui replica: «Mi manchi in una maniera orribile».
Nell'insieme tuttavia l'intreccio è convincente e le pagine scorrono veloci con la voglia di sapere. La storia ti cattura. Rubino racconta molto di sé e dell'humus culturale e politico in cui è vissuto, con sincera passione e amore per la sua città. La riprova viene dalla sensibilità umana che trapela quando descrive i vinti, come nelle pagine conclusive. Una pietas che non si rintraccia facilmente tra i giovani scrittori e che va sottolineata. Si avverte, con grande piacere, la lezione di Genova e della bella cultura sociale di cui è portatrice.
Silvano Rubino
Nome di battaglia: Corsaro
pagg.176, euro 9,90
I tascabili
Fratelli Frilli editori